Marcegaglia: «Persi 10 anni, la politica pensi alle riforme»

ROMA – ‘’Quelli alle nostre spalle sono anni perduti’’, un ‘’decennio perduto in termini di minore competitività e mancata crescita’’. La leader degli industriali Emma Marcegaglia all’assemblea annuale di Confindustria torna a denunciare ‘’la delusione’’ delle imprese dopo un lungo pressing per le riforme. Ed ora chiede che ‘’subito’’ il governo vari ‘’interventi più incisivi’’ a partire da riforma fiscale e nuove infrastrutture. Negli anni non sono mancate le ‘’proposte concrete’’ degli industriali, ‘’proposte nell’interesse del Paese’’, dice la presidente di Confindustria: ma ‘’non hanno riscosso l’attenzione della politica’’, che ‘’pensa ad altro’’, che ha ‘’priorità altre e diverse’’. L’industria ‘’ne ha dovuto prendere altro’’. Ma lancia ancora un invito forte, oggi, guardando alla fase politica che si aprirà dopo i prossimi ballottaggi.


– Se il risultato finale convincerà governo e maggioranza di avere davanti a se ancora due anni di lavoro la loro agenda deve concentrarsi su un’unica priorità: la crescita -ha sottolineato Mercegaglia -. Questo significa: semplificazioni e liberalizzazioni subito! Infrastrutture subito! Riforma fiscale subito!


Ribatte il ministro allo Sviluppo economico,Paolo Romani.
– Non è vero che il Paese non cresce da dieci anni. Oggi ci sono i conti a posto e non c’è la possibilità di crisi come quelle che hanno avuto altri paesi europei.
Emma Marcegaglia striglia la politica per gli anni di immobilismo tra ‘’divisioni e lacerazioni interne a ciascuno dei due poli, alle prese con fratture e problemi di leadership personali anteposti al benessere del Paese’’.
– Ed oggi, che le difficoltaànella maggioranza sono evidenti – insiste – l’opposizione appare ancora incapace di esprimere un disegno riformista.
Lancia un ‘’avviso finale’’:
– Attenti. Noi saremo pronti a batterci con tutte le nostre forze per gli interessi del Paese.
E’ una Italia che soffre di troppo Stato quella descritta dalla leader degli industriali.
– Occorre – spiega – ridurre ciò che lo Stato fa oggi, lasciando più spazio ai privati e al mercato. Serve uno Stato che smetta di fare male il troppo che fa e che invece faccia bene l’essenziale che deve. Ed e’ un’Italia minata dalla malattia dlla bassa crescita. Deve affrontare sfide epocali che non si possono vincere senza tornare a crescere. Perchè – avverte – alla lunga, senza sviluppo economico, senza crescita, alza la testa il populismo, vengono messi in discussione i fondamenti stessi della democrazia.


La presidente degli industrali sottolinea che stabilità dei conti pubblici e crescita economica sono ‘’due priorità, due vere emergenze’’. E, prosegue, non sono in antitesi.
– Senza stabilità – afferma – rischiamo di diventare un Paese finanziariamente non affidabile; senza crescita non daremo prospettive all’economia e alla società. E gli stessi obiettivi di finanza pubblica diventeranno irraggiungibili.


Alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per celebrare con ‘’orgoglio’’ i 150 anni dell’Unità d’Italia, Emma Marcegaglia sottolinea anche il bisogno di ‘’istituzioni forti e autorevoli che sappiano recuperare la fiducia dei cittadini e delle imprese, oggi gravemente erosa’’, di uno ‘’scatto di orgoglio della classe dirigente’’, di ‘’abbassare i toni della polemica politica’’, di mettere fine a ‘’attacchi e delegittimazioni reciproche’’. E’ questa, dice, la prima, vera, grande riforma di cui ha bisogno l’Italia’’.


‘Standing ovation’ per Napolitano e Draghi


ROMA – Trenta applausi per Emma Marcegaglia, standing ovation per il Capo dello Stato Giorgio Napolitano e il governatore di Bankitalia Mario Draghi, parterre delle grandi occasioni contrassegnato da numerosi ‘siparietti’ dei protagonisti, sullo sfondo però di un clima tangibile di nervosismo tra imprenditori e politica.
Così l’uscita del Capo dello Stato dall’assemblea della Confindustria, crea un inedito fuggi-fuggi di una consistente parte del prestigioso parterre che, poco prima, aveva seguito con attenzione gli oltre 60 minuti di intervento della presidente degli industriali.


Prima della fine se ne vanno i ministri Brunetta, Sacconi, Matteoli, il commissario Ue Antonio Tajani; via i presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani, il leader del Pd Pierluigi Bersani seguito poco dopo da Walter Veltroni (trovatosi seduto fianco a fianco di Massimo Calearo). Neanche i leader Cgil, Cisl e Uil Camusso, Bonanni, Angeletti attendono la fine dell’intervento del ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani che pronuncia così il suo intervento davanti a una platea dimezzata e distratta. Platea che, poco prima, aveva invece sottolineato con convinti applausi i passaggi più duri di Marcegaglia deplorante i ‘’10 anni perduti’’, i costi della politica, i disastri del non fare, fino all’ultimatum: ci batteremo anche fuori delle aziende.


Sincero il calore riservato al presidente della Repubblica (un appuntamento slittato di un anno: nel 2010 un viaggio istituzionale aveva impedito a Napolitano di esserci), e la standing ovation per Mario Draghi: il governatore di Bankitalia ha ringraziato in piedi e con un breve inchino gli industriali e le parole di apprezzamento della presidente. Battimani significativi hanno sottolineato l’ attacco a sorpresa di Emma sul caso Fiat e il duro confronto sui contratti, decretando ‘’finiti i tempi in cui poche aziende decidevano l’agenda’’.
– In Confindustria non ci sono soci di serie A e serie B – ha scandito Emma, gelando il presidente del Lingotto John Elkann. Un gelo sciolto solo alla fine, con un fitto colloquio di qualche minuto tra i due. Un clima nervoso ha caratterizzato l’ultima assise di Marcegaglia mentre si infittiscono i boatos che leggono nella chiamata all’impegno dell’imprenditrice mantovana una sorta di investitura politica. Per l’ultimo appuntamento sullo scranno confindustriale Emma ha scelto una mise rigorosa (tailleur pantaloni nero di Dolce e Gabbana, issata su tacchi Prada, luminoso collier di perle e diamanti, borsa Chanel), in linea con l’eleganza seria esibita dalle signore presenti, quest’anno in minor numero, segno che la festa è finita.


Parte la corsa alla successione


ROMA – Si alzerà ufficialmente a gennaio 2012 (con la nomina dei tre saggi che dovranno ascoltare la base e raccoglierne le indicazioni) il sipario sulla corsa alla prossima presidenza di Confindustria, ma sul nome del successore di Emma Marcegaglia cominciano già i primi rumors, destinati a diventare via via più insistenti dopo l’assemblea annuale di ieri, l’ultima sotto la guida dell’imprenditrice mantovana.


Per la poltrona di viale dell’Astronomia non c’è ancora – come ovvio che sia – nessun candidato ufficiale, ma di fatto, alla luce anche delle dichiarazioni fatte all’indomani delle Assise di Bergamo, la partita si è già aperta. Alberto Bombassei, vicepresidente in carica con delega alle relazioni industriali, infatti, in una recente intervista – confermando di non poter essere tra i possibili candidati – ha fatto ufficialmente il nome di Gianfelice Rocca (oggi vicepresidente per l’Education e presidente del gruppo Techint), nome che circolava già da qualche tempo come possibile successore. Secondo alcuni ben informati di quanto si sta muovendo nel sistema, Rocca potrebbe contare sul consenso di diverse associazioni della Lombardia (esclusa Assolombarda), del Veneto, della Toscana, dell’Emilia e del Sud (capitanate da Ivan Lo Bello, alfiere della battaglia per la legalità, cui potrebbe andare proprio la vicepresidenza per il Mezzogiorno).


Oltre alla piazza romana, con la nuova potente Unindustria di Aurelio Regina che dopo aver covato per qualche tempo aspirazioni presidenziali – sostenute dall’ex presidente Luigi Abete – si accontenterebbe ora di una vicepresidenza, magari con delega alla riorganizzazione di Confindustria, per poi candidarsi, 4 anni dopo, alla poltrona di vertice. Le dichiarazioni di Bombassei hanno però suscitato più di qualche malumore tra gli imprenditori – portavoce dello ‘sconcerto’ è stato pochi giorni dopo l’ex presidente Giorgio Fossa – e tra la cosiddetta base: il territorio, soprattutto i piccoli, a cominciare dallo zoccolo duro del Nord Est che giusto sei anni fa sponsorizzarono la candidatura del ‘duro’ Nicola Tognana, imputerebbe infatti a Rocca di essere ‘’un po’ troppo intellettuale’’, in un momento in cui, complici le conseguenze di una crisi economica molto pesante, sarebbe necessario, al contrario, ‘’molto pragmatismo’’.


Tuttavia, tra il gotha dell’imprenditoria, c’è chi sostiene che nell’eventualità la candidatura di Rocca diventasse ufficiale, sarebbe difficile trovare un imprenditore disposto a rischiare il confronto. Altro nome forte in circolazione resta quello di Giorgio Squinzi (presidente della potente Federchimica, oltre che del Comitato tecnico per l’Europa di Confindustria). Tentato dall’avventura alla presidenza, Squinzi – che ha ottenuto un consenso ‘bulgaro’ nella sua rielezione in Giunta – non avrebbe però sciolto le riserve, soprattutto perchè condizionato dall’ esigenza di seguire da vicino la sua attività industriale (è presidente della Mapei, colosso della chimica).

Gli appoggi certo non gli mancherebbero, a cominciare dalla potentissima Assolombarda (di cui è vicepresidente e senza il cui voto nessun candidato è stato mai eletto alla presidenza, nella storia secolare di Confindustria). Giusto all’Auditorium, l’amico di vecchia data Carlo Sangalli, l’ha invitato apertamente a schierasi:
– Dai Giorgio, pensaci…abbiamo bisogno di te – ha detto il presidente di Confcommercio incrociandolo all’uscita del Parco della Musica. Tra i possibili outsider, dietro la candidatura dello stesso Rocca, continua a circolare il nome di Diego Della Valle, l’imprenditore marchigiano che conterebbe sull’appoggio dell’ex presidente Luca di Montezemolo, amico di vecchia data e socio in affari. La partita resta comunque apertissima non solo per la distanza temporale, ma anche perchè molti dei big player che vogliono dire la loro stanno ancora alla finestra in attesa di capire che succede. Uno su tutti, Paolo Scaroni, intenzionato a essere uno dei decisivi king maker del prossimo presidente (non a caso, uno dei suoi collaboratori risponde al nome di Gabriele Manzo, potente ex direttore dei rapporti interni e profondo conoscitore del sistema).