Draghi: «Appelli inascoltati, paese insabbiato»

ROMA – ‘’Tornare alla crescita’’. Sarà pure scontato, un ‘’punto fisso’’, come riconosce lui stesso, ma il messaggio del governatore Mario Draghi, che apre e chiude volutamente e simbolicamente cinque anni di considerazioni finali, vuole scuotere ancora i banchieri, i politici e gli industriali seduti nella sala rossa di Palazzo Koch ad ascoltarlo. Verrebbe quasi da perdere la fiducia chiedendosi, come fa lui, ‘’quale paese lasceremo ai nostri figli ?’’ se a distanza di cinque anni, osserva Draghi, quando si guarda a quanto poco si è fatto, ‘’viene in mente l’inutilità delle prediche di un mio ben più illustre predecessore’’. Il riferimento è a Luigi Einaudi, governatore e presidente della Repubblica, come Carlo Azeglio Ciampi, che accompagna Draghi nel suo ingresso nella sala ricevendo una standing ovation.


Tutti prestigiosi servitori ‘’della nazione e dell’Europa’’ nella tradizione della ‘casa’ di Via Nazionale, ‘’fucina di quadri’’ caratterizzati da ‘’merito e indipendenza’’, ‘’i principi guida del mio mandato’’, sottolinea il banchiere quasi a tracciare l’identikit del suo successore. Il richiamo del Governatore alla crescita è quindi un nuovo accorato appello alla politica, in senso lato, da mettere sul banco degli imputati per aver lasciato in questi anni un Paese che resta ‘’insabbiato’’, ma che vuole e, soprattutto, può affrontare le sfide. A patto che si dica ‘’con chiarezza’’ le scelte da fare se ‘’fossero avverse agli interessi immediati di segmenti della societa’’.
Il fine è la crescita, il mezzo la sconfitta degli ‘’intrecci di interessi corporativi che in più modi opprimono il Paese’’. Il premio sarà un miglioramento delle condizioni materiali di vita (come già accaduto nei 150 anni di storia unitaria, soprattutto nel primo Novecento e nel secondo dopoguerra), il prezzo è un pareggio di bilancio da raggiungere il prima possibile, ‘’senza indugi’’, mettendo in campo una manovra, ‘’tempestiva, strutturale e credibile’’ incentrata sulla spesa pubblica da ridurre, in modo selettivo però. Tagli per il 5% in termini reali per riportarla ai livelli dello scorso decennio. In questo contesto bisogna operare percio’ ‘’voce per voce’’ nel bilancio dello Stato, suggerisce il banchiere italiano, da novembre presidente della Bce. Tagli lineari, invece, ingolferebbero la ripresa, riducendo il Pil di 2 punti in tre anni.


Del resto ‘’non esistono scorciatoie’’ per affrontare la crisi dell’euro, dice Draghi lasciando intuire il rigore con il quale prenderà il testimone da Jean Claude Trichet, ‘’la risposta alla crisi sta nelle politiche nazionali’’. E il cerchio si chiude: tornare alla crescita. Aumentando la produttività e ‘’riducendo in misura significativa le aliquote elevate sui redditi dei tanti lavoratori e imprenditori onesti’’ con il recupero dell’evasione fiscale, chiede Draghi. Tornare a crescere è necessario perchè dei sette punti di prodotto lasciati sul campo per colpa della crisi cinque mancano ancora all’appello e nel primo trimestre l’espansione ‘’è stata appena positiva’’. E se la produttività ristagna anche le dinamiche retributive sono modeste: i salari reali dei lavoratori italiani sono rimaste pressochè ferme nel decennio mentre in Francia sono salite del 9%, osserva Draghi.


Ne risente la domanda interna: i consumi sono aumentati da noi meno del 5% contro il 18% sempre della Francia (‘’paese a noi simile per popolazione’’), citata ancora da Draghi forse per sottolineare che il nostro distacco non si misura soltanto con la Germania più volte indicata da Bankitalia come modello di competitività.