Referendum: Voto all’estero l’ultima parola alla Cassazione

ROMA – Sul voto degli italiani all’estero, che hanno votato sul nucleare sulla base della vecchia formulazione del quesito, l’ultima parola la dirà la Cassazione. Non è possibile, infatti, ristampare le schede ‘grigie’, (quelle per il nucleare), per gli italiani all’estero, i quali, del resto, hanno tempo solo fino ad oggi per votare.
Mentre in Italia è in corso la stampa delle schede con il nuovo quesito sul nucleare, per i 3,2 milioni di elettori italiani all’estero è impossibile procedere ad una nuova stampa delle schede con il nuovo quesito referendario. Ogni decisione sulla validità dei voti referendari già espressi dagli italiani all’estero “è riservata agli uffici competenti per legge”.


Per quanto riguarda il “voto degli italiani all’estero, spetta all’Ufficio centrale per la circoscrizione estero presso la Corte d’Appello di Roma” esaminare le schede, comprese quelle con il vecchio quesito, nella sede di Castelnuovo di Porto (Roma). Dopo lo scrutinio, che inizierà alle ore 15 di lunedì13 giugno contestualmente allo scrutinio di tutte le schede nelle sezioni elettorali italiane, si manderà tutto il materiale scrutinato all’Ufficio centrale per i referendum della Cassazione che deciderà in merito.
La questione, dunque, si porrà dopo il 13 giugno e si porrà, probabilmente, solo se i voti degli italiani all’estero saranno determinanti per il raggiungimento del quorum o il ribaltamento del risultato del referendum.


Il referendum, quindi, riaccende le polemiche. Aldo Di Biagio, deputato Fli, ha commentato ieri:
– Bella risposta al question time: invece di dare una soluzione al problema il Governo rimanda la decisione di validare o meno il terzo quesito per gli italiani all’estero, riconoscendo tale discrezionalità alla Commissione elettorale competente a Roma. Ma di fatto – ha proseguito – al di là della burocrazia e dei giochi di parole, il nostro caro Governo si vuole riservare fino all’ultimo la possibilità o meno di giocare anche su quel bacino di voti: se servono li riterrà validi, se invece non servono saranno annullati. Ancora una volta i cittadini all’estero vengono messi in mezzo solo se fa comodo.


Nucleare: una crociata contro le centrali

ROMA – Il nucleare ritorna sulle schede di un referendum. A distanza di 24 anni (si votò nel 1987), agli italiani viene richiesto di esprimersi sull’energia prodotta dall’atomo. Prima delle norme (di moratoria), che hanno poi rinviato il ‘timing’ del ritorno al nuleare (scelta dei siti, aziende, Agenzia per la sicurezza), il quesito abrogativo si concentrava sull’abrogazione di parti del decreto legislativo 31 (quello su cui la Consulta richiese modifiche rispetto alla partecipazione delle regioni interessat) che indicavano il percorso da seguire per la costruzione di centrali atomiche sul territorio italiano.

La legge che ha dato origine al processo di ritorno all’atomo (la 99 del 2009) porta la firma del ministro dello Sviluppo economico dimissionario Claudio Scajola. In quella legge è prevista la delega al governo per la predisposizione della tabella di marcia per intraprendere la strada dell’atomo. Adesso, sulla base di quanto deciso dalla Corte di Cassazione, la nuova formulazione del quesito abrogativo parla delle norme contenute nel decreto Omnibus, con cui invece si prevedeva una ‘moratoria’ di un anno richiamandosi in ogni caso alle precedenti disposizioni.

Restano invece in piedi ed escluse dal referendum, le norme per l’Agenzia per la sicurezza nucleare e quelle per la localizzazione del parco tecnologico che prevede al suo interno, oltre a un centro di ricerca, il deposito di superficie delle scorie radioattive. La scheda per questo referendum è di colore grigio. Il quesito per come è stato riformulato dalla Corte di Cassazione recita così:
‘’Volete che siano abrogati 1 e 8 dell’articolo 5 del dl 31/03/2011 n.34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n. 75?’’. Il titolo è il seguente: ‘’Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare’’. Chi vota sì, cancellando le leggi in materia (argomento di referendum), impedisce che possano essere costruite nuove e pericolose centrali nucleari in Italia. Chi vota no, decide di mantenere l’attuale legge.

Acqua: Un bene pubblico o privato?

ROMA – Sono due i quesiti oggetto del referendum del 12 e 13 giugno che riguardano la gestione dell’acqua, uno sulla cosiddetta ‘privatizzazione’, l’altro sui ‘profitti’ legati alla commercializzazione della risorsa. Con il primo quesito si chiede l’abrogazione del ‘decreto Ronchi’ sulla liberalizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Non solo acqua, quindi, ma anche, ad esempio, rifiuti o trasporti. Con il secondo quesito si chiede invece di abrogare la possibilità per i privati, contenuta nel Codice dell’Ambiente del 2006, di aumentare la tariffa (fino al 7%) per ottenere una adeguata remunerazione, un profitto garantito, del capitale investito.

– QUESITO UNO: scheda di colore rosso. Gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Si chiede l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008. Il decreto, come spiegano i promotori del referendum, stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%. La norma prevede che entro il 2011 le società di gestione a totale capitale pubblico cessino o si trasformino in società a capitale misto. Inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.

– QUESITO 2: scheda di colore giallo. Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato. Si propone ‘’l’abrogazione dell’art.154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto dell’ ‘’adeguatezza della remunerazione del capitale investito’’. Si chiede, insomma, di cancellare la norma che prevede la sicurezza dei guadagni da parte delle societa’ private alle quali sono stati affidati i servizi idrici, quindi la possibilità di aumentare le tariffe. Il gestore privato con la legge in vigore può caricare sulla bolletta fino al 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a un miglioramento qualitativo del servizio.

Legittimo impedimento: Il quesito a più alto tasso politico

ROMA – Cancellare del tutto lo ‘scudo’ processuale in favore del premier Silvio Berlusconi che la Corte Costituzionale aveva solo parzialmente indebolito lo scorso gennaio, bocciando alcuni punti della legge ma non tutti: l’obiettivo del referendum sul ‘legittimo impedimento’ promosso dall’Idv è certamente quello a più alto tasso politico tra i quattro quesiti referendari su cui si voterà il 12 e 13 giugno.

Dopo la ‘debacle’ di Pdl e Lega alle amministrative, l’esito della consultazione sul ‘legittimo impedimento’ può infatti assumere la valenza di un voto pro o contro il premier. O meglio, pro o contro le polemiche norme ‘ad personam’. Varata nell’aprile del 2010 come punto di mediazione proposto dall’Udc (per la precisione dall’attuale vicepresidente del Csm, Michele Vietti) con l’obiettivo di limitare i più devastanti effetti di prescrizione del ‘processo breve’, la legge n.51 del 2010 era e resta, anche dopo l’intervento dei giudici della Consulta, una norma a tempo: 18 mesi di validità in tutto (fino al prossimo ottobre) durante i quali i giudici che processano il premier o qualcuno dei suoi ministri sono tenuti a rinviare a nuova udienza in concomitanza di impegni istituzionali ben precisi.

Non appena il Capo dello Stato ha firmato la legge, l’Idv si è data fa fare nel raccogliere le firme necessarie al referendum. Nel frattempo, però, i giudici di Milano dei processi Mills, Mediaset e Mediatrade a carico del premier si sono rivolti alla Corte Costituzionale, chiedendo di dichiarare illegittima la legge. All’inizio dell’anno, dunque, i destini del referendum e della questione di legittimità della norma si sono incrociati a palazzo della Consulta. Con il seguente esito: il 12 gennaio la Corte ha prima dato il via libera al quesito proposto dal partito di Antonio di Pietro, mentre il giorno successivo ha in parte bocciato la legge.
Due i punti chiave fatti cadere dai giudici della Consulta: l’impedimento continuativo fino a sei mesi attestato dalla presidenza del consiglio e l’automatismo nell’obbligo per il giudice di riconoscere la legittimità dell’impedimento. Da quando è intervenuta la Consulta, dunque, il giudice ha il potere di valutare ‘’caso per caso’’ e ‘’in concreto’’ se l’impedimento addotto dal premier dia luogo a una impossibilità assoluta a comparire in giudizio, in quanto oggettivamente indifferibile e necessariamente concomitante con l’udienza. Il tutto seguendo il ‘’canone della leale collaborazione’’ tra autorità giudiziaria e potere politico.

Questo è in sintesi ciò che dopo la sentenza della Consulta resta della legge nata con l’intenzione di essere un ‘ponte’ verso un nuovo scudo per le alte cariche istituzionali da realizzarsi con norma costituzionale (il cosiddetto ‘lodo Alfano bis’, che pero’ non ha mai marciato in Parlamento). Dopo la sentenza della Consulta, l’Idv ha riformulato il quesito da sottoporre all’elettorato per chiedere l’abrogazione in toto della legge: l’ufficio centrale per il referendum, lo scorso febbraio, ha dato il suo via libera. Chi andrà a votare il 12 e 13 giugno troverà pertanto il seguente quesito:
‘’Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonche’ l’articolo 2, della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante ‘Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza’?’’.