Berlusconi non teme il referendum, pensa alla verifica

ROMA – Sicuro che alla fine anche Giulio Tremonti si convincerà a dare un ”segnale forte” all’elettorato sul fronte fiscale, poco preoccupato dalla partita referendaria, un po’ di più, ma non da non dormirci la notte, per l’imminente verifica parlamentare. Chi ha parlato con Silvio Berlusconi fra l’altra sera e ieri mattina, descrive così gli umori del presidente del Consiglio. Convinzioni e auspici che non tutti, nella maggioranza, condividono fino in fondo.


Sul fronte fiscale, l’annuncio della legge delega prima dell’estate viene letta con perplessità persino nel governo.


– Dentro può esserci tutto, ma anche nulla – ragiona un ministro pidiellino, secondo il quale il punto di convergenza fra il Cavaliere e il Professore è stato raggiunto più sulla comunicazione che sui contenuti. Per non parlare dei tempi, lunghi per il Tesoro, il più breve possibile per palazzo Chigi. Il premier ripete che alla fine Tremonti si convincerà, anche perchè non ci sono alternative. Tanto che secondo qualcuno avrebbe anche ipotizzato di andare avanti comunque, prescindendo cioè dal ministero dell’Economia. Anche se in pochi, almeno nel governo, credono che l’esecutivo sopravviverebbe ad una simile scossa. Tutti, invece, concordano sul fatto che ”la sfida” fra lui e Tremonti inizierà davvero solo dopo il 22 giugno. E comunque vada a finire, profetizza un altro membro dell’Esecutivo, ”la partita terrà tutti impegnati per un po’, con il risultato che Berlusconi, con tutta probabilità, arriverà almeno al 2012”. Sul dopo, nessuno fa previsioni. C’è chi vede un Berlusconi stanco, poco combattivo, più preoccupato per la sentenza Mondadori che per le sorti del governo.


In tanti (come Scajola e Formigoni) gli suggeriscono un cambio di passo e vedono nell’alleanza con l’Udc l’unico balsamo di salvezza perchè, confida un dirigente del Pdl, ”ormai è chiaro che noi e la Lega, da soli, perdiamo”. Sono gli stessi che lo spingono a fare un passo verso Casini, magari promettendogli palazzo Chigi o addirittura il Quirinale.


Lui, raccontano, nicchia, anche perchè sa che conditio sine qua non sarebbe il suo passo indietro che, per ora, non intende nemmeno prendere in considerazione. Tra l’altro, reputa ancora solido l’asse con Bossi che, spalleggiato da Maroni e forte del sostegno della base, lo affianca nell’opera di convincimento sul Tesoro (mentre Calderoli sarebbe più ‘tremontiano’). ‘


– Ormai si dovrebbe parlare di Leghe – ironizza un deputato pidiellino, per sottolineare che l’unità del Carroccio ormai è solo un ricordo. L’impressione è che in tanti, anche a via Bellerio, inizino a pensare al dopo. Fatto sta che il premier sembra guardare con minore preoccupazione all’appuntamento di Pontida. O almeno così assicurano i suoi. Neanche la verifica, nonostante qualcuno a palazzo Grazioli veda nuvoloni neri addensarsi su Montecitorio, lo preoccupa più di tanto anche nel caso in cui si dovesse arrivare ad un voto.


Certo, i numeri sono risicati (al momento il pallottoliere segna 318) e gli scontenti abbondano, ma il leit motiv è che ”nessuno adesso ha interesse ad andare a casa”. Ciò nonostante qualcuno nel Pdl ammetta placidamente che la situazione è ”confusa e incerta”. Anche il rischio che il referendum raggiunga il quorum, ventilato da Pier Luigi Bersani, non sembra impensierirlo più di tanto. Sa che la possibilità di arrivare al 50% esiste, ma è convinto che anche in quel caso, nonostante il legittimo impedimento, non vi saranno conseguenze sull’esecutivo. Tanto che, fra tutti i grattacapi che ha, non è mai fra quelli menzionati in privato. Sullo sfondo, intanto, restano ancora tutti aperti all’interno del Pdl. A cominciare dal successore di Angelino Alfano, non ancora individuato: tanto che qualcuno inizia a sussurrare che potrebbe anche restare.