Voto all’estero, Davico in Senato: «Basta corrispondenza, sì ai seggi»

ROMA – Il voto per corrispondenza non garantirà mai segretezza e chiarezza: parte da questo assunto il Sottosegretario all’Interno Michelino Davico, che è stato ascoltato dalle Commissioni riunite Affari Costituzionali ed Esteri del Senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul voto all’estero.


Che la Legge Tremaglia, datata 2001, abbia bisogno di correttivi «pratici» è opinione diffusa e condivisa, ma altrettanto non si può dire delle soluzioni proposte. Per molti – eletti all’estero in primis – il voto per corrispondenza non va abbandonato, ma corretto, rovesciando il diritto d’opzione (se vuoi votare ti iscrivi ai registri elettorali nei Consolati). Questo perché garantisce la possibilità di votare a più connazionali e risolve la questione-distanza. Per altri – tra cui il sottosegretario Davico, che ha esposto in materia la posizione del Viminale – si deve passare ai seggi in loco, così come avviene in Europa per le elezioni del Parlamento Europeo. Soluzione, a tacer d’altro, molto costosa, come ha più volte ricordato il sottosegretario agli esteri Mantica.


Nel suo intervento in Senato, Davico ha prima di tutto sottolineato l’importanza della Legge 459 «alla quale va senz’altro riconosciuto il merito di aver introdotto nel nostro Ordinamento un fondamentale diritto di partecipazione»; legge, però, che «necessita di alcuni correttivi che, pur senza intaccarne i principi ispiratori, consentano di rafforzare il sistema delle garanzie e di semplificare le modalità operative legate all’esercizio del diritto di voto».


– In una società sempre più permeabile agli influssi della comunicazione – ha proseguito – non è pensabile che le radici che ogni cittadino ha con la propria terra di origine non siano governate da norme adeguate.


I correttivi alla 459 servono a «garantire la massima sicurezza del procedimento, salvaguardando la segretezza e la genuinità del voto».


Il voto per corrispondenza, ha aggiunto Davico, «ha suscitato dubbi sulla regolarità delle operazioni elettorali e, più in generale, sulla sicurezza offerta da tale sistema sia nelle fasi di spedizione, sia in quelle di recapito e di ricezione del plico elettorale. Sotto quest’ultimo profilo – anche se la disposizione prevista dall’articolo 12, comma 5, della legge prevede la possibilità per l’elettore di richiedere all’ufficio consolare l’invio di un nuovo plico con le schede, in caso di mancato recapito dello stesso o di irreperibilità dell’elettore presso il proprio domicilio – è emerso, comunque, in maniera evidente, che non risulta possibile, per le Autorità italiane, controllare il regolare smistamento della corrispondenza in tutto il territorio mondiale». Tale voto, poi, «non appare in grado di garantire il rispetto dei principi di personalità e segretezza costituzionalmente tutelati, come si può evincere dalle numerose segnalazioni e denunce, pervenute anche alla magistratura, circa presunti casi di incetta di schede e di loro falsificazione».


Quindi, per garantire «un più elevato livello di sicurezza e di controllo delle operazioni di voto, in alcune proposte di legge è stato previsto di richiedere all’elettore {una volta espresso il proprio voto sulla scheda elettorale), l’introduzione nella busta affrancata, di una copia del proprio documento d’identificazione e/o l’apposizione della propria firma sul tagliando staccato dal certificato elettorale». Soluzioni che, per il Viminale, «non possono ritenersi risolutive in quanto l’inserimento nel plico della copia del documento di identificazione non garantirebbe in ogni caso il principio della personalità del voto, né quello della sua segretezza, mentre la firma dell’elettore sul tagliando elettorale non escluderebbe una sua possibile falsificazione non controllabile dai presidenti di seggio in Italia. Pertanto, tutto ciò, lungi dal garantire maggiore regolarità del procedimento, potrebbe, viceversa, comportare ulteriori annullamenti delle schede per mancanza della nuova documentazione richiesta».


Poi c’è la questione-tempo: il voto all’estero, ha detto Davico, è «inevitabilmente sfasato da quello in Italia» tanto da poter «compromettere la regolarità dell’intero procedimento elettorale all’estero». Tema attuale, visto quanto accaduto al quesito 3 nell’ultimo referendum.


In sostanza, per Davico, le ipotesi percorribili – enucleate dalle tante proposte di legge presentate in merito – sono due: l’inversione dell’opzione (gli elettori all’estero, che ora sono iscritti d’ufficio nella circoscrizione Estero e possono in alternativa optare per il voto in Italia, verrebbero iscritti nella circoscrizione Estero solo presentando apposita opzione); l’istituzione di seggi «in loco» presso sedi diplomatiche o istituti di cultura.


La prima opzione non sarebbe comunque risolutiva, per Davico.


– L’inversione dell’opzione – sostiene – avrebbe l’unico vantaggio di consentire la spedizione di un minore numero di schede per posta ad indirizzi più aggiornati, ma, d’altro canto, potrebbe addirittura aggravare i rischi di irregolarità delle consultazioni, favorendo ulteriori fenomeni di incetta di schede da parte di organizzazioni varie, attraverso la predisposizione di elenchi di elettori «vicini», da agevolare fin dalla materiale formulazione dell’opzione e da «condizionare» al momento del voto.


Senza contare, ha aggiunto, che «questa ipotesi potrebbe anche essere censurata con riferimento al principio costituzionale di uguaglianza, atteso che gli elettori residenti nel nostro Paese vengono iscritti d’ufficio nelle liste della circoscrizione nazionale di residenza, mentre quelli all’estero sarebbero cancellati dalle liste della circoscrizione Estero (e verrebbero costretti a tornare in Italia per votare), a meno che non presentino tempestiva opzione». Meglio, per il Viminale, istituire i seggi, una soluzione «da ritenersi assolutamente preferibile dal punto di vista tecnico», anche se «impone all’elettore di recarsi presso il luogo in cui è ubicato il seggio con l’inevitabile conseguenza (date anche in alcuni casi, le notevoli distanze all’estero tra le abitazioni degli elettori e le sedi consolari in cui verrebbero istituiti i seggi) di una minor partecipazione rispetto al voto per posta. Ciò nondimeno, tale ipotesi rappresenta il modo più efficace per garantire i principi di personalità e segretezza del voto anche all’estero e quindi di assicurare la regolarità delle consultazioni. Così come avviene nelle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia per il voto dei nostri connazionali nel territorio dell’Unione europea, potrebbero essere istituiti presso tutte le sedi consolari italiane, appositi Uffici elettorali di sezione per tutti gli elettori all’estero, che voterebbero previa identificazione ed all’interno di una cabina elettorale».


Davico ha ricordato anche che «il voto «in loco» favorirebbe anche la possibilità di estendere come da più parti richiesto anche in una serie di ordini del giorno accolti dal Governo in sede di conversione del decreto-legge n. 37/11- l’ambito dei soggetti temporaneamente residenti all’estero con diritto di voto fuori dal territorio nazionale che, allo stato attuale, è circoscritto solo ad alcune categorie (come le Forze armate e le Forze di polizia, i dipendenti di amministrazioni dello Stato e delle regioni, i professori e ricercatori universitari), categorie per le quali è possibile effettuare, mediante attestazione delle amministrazioni di appartenenza, non solo la sicura identificazione, ma anche la certa verifica dell’ effettiva presenza all’estero tanto nel periodo delle votazioni, quanto nel periodo anteriore minimo prescritto».


Quanto allo scrutinio, verrebbe effettuato comunque in Italia nei seggi istituiti dall’Ufficio centrale della circoscrizione Estero; «tali seggi, pertanto, non dovrebbero più effettuare le defatiganti attività preliminari allo scrutinio, tra cui il complesso calcolo dei votanti, con la «spunta» sulle liste elettorali dei residenti all’estero. Un eventuale provvedimento legislativo potrebbe opportunamente essere redatto in modo da renderlo immediatamente applicabile senza dover ricorrere alla successiva emanazione di normativa regolamentare, predisponendo, quindi, una dettagliata ed organica normativa sul procedimento di organizzazione dei suddetti seggi presso le sedi consolari».


Avviandosi alla conclusione, Davico ha ribadito che «la normativa che disciplina il voto degli italiani all’estero ha rappresentato una tappa importante, un traguardo significativo nel processo graduale di avvicinamento dei cittadini italiani all’estero alle istituzioni democratiche. Se questo è, indubbiamente, un lato positivo, si sono dovuti riscontrare degli inconvenienti di natura applicativa dei quali si sono opportunamente resi interpreti i Presidenti delle due Commissioni con l’indagine conoscitiva. Non può, d’altra parte, dimenticarsi che in materia elettorale spetta al Parlamento l’ultima parola ed è per questo motivo che il Governo invita codeste Commissioni, e per esse l’intero Senato, a fornire tutte quelle indicazioni e quegli orientamenti che possano rivelarsi utili a migliorare l’impianto legislativo e a raggiungere l’obiettivo, auspicato e pienamente condivisibile, di apportare correttivi al sistema di voto degli italiani all’estero».


Nel successivo dibattito, il presidente della Commissione affari costituzionali Vizzini (Pdl) ha riferito ai colleghi che la prossima settimana inizieranno l’esame in sede referente dei ddl presentati sul voto all’estero, assicurando che verranno tenute in «attenta considerazione» tutte le informazioni acquisite nel corso dell’indagine conoscitiva. Vizzini ha quindi chiesto a Davico se il Governo intende presentare un autonomo disegno di legge; il sottosegretario ha spiegato che il Governo intende «collaborare attivamente con gli organi parlamentari ai fini di una riforma della legge sul diritto di voto degli italiani all’estero».


La senatrice Marinaro (Pd), alla luce delle osservazioni sui seggi in loco, ha sottolineato «l’esigenza di acquisire dati precisi sull’articolazione della rete diplomatico-consolare all’estero». Sul punto si è detto d’accordo anche Bettamio (Pdl), che ha pure segnalato l’opportunità di analizzare la disciplina francese e tedesca.


Gli ha risposto il senatore Micheloni (Pd) che ha ricordato che «anche in Francia è stata approvata una modifica costituzionale che sostanzialmente ricalca il sistema italiano di elezione dei parlamentari della circoscrizione Estero». Micheloni si è detto «d’accordo sulla modifica del sistema di iscrizione all’Aire, ma questo implicherà un lasso di tempo piuttosto ampio per l’attuazione. Ecco perché auspico che possano approvarsi ddl in materia elettorale focalizzati sui profili di maggiore urgenza». Il senatore si è detto «assolutamente contrario all’eliminazione del voto per corrispondenza, che va riformato ma non eliminato. In Svizzera questo meccanismo è usuale e si accompagna a precise garanzie; peraltro, la predisposizione di seggi all’estero incontra delle difficoltà in numerosi paesi in cui ostano profili di ordine pubblico. Occorre quindi creare condizioni sicure per il voto per corrispondenza, garantendo la personalità e la regolarità del voto. Magari, l’istituzione di comitati elettorali per lo spoglio delle schede nei consolati e l’accentramento della stampa del materiale elettorale in Italia potrebbero rivelarsi efficaci».


Il senatore Giordano (Pdl) nel suo intervento ha ricordato «le difficoltà frapposte dal Governo canadese per consentire l’espressione del voto per le elezioni politiche italiane nel suo territorio. In un territorio così ampio, l’opzione del voto per corrispondenza risulta l’unica praticabile e lo spoglio delle schede può avvenire presso i consolati anche senza l’istituzione dei comitati elettorali. Condivido la necessità di verificare il processo di stampa del materiale elettorale».


D’accordo sull’istituzione dei comitati elettorali di verifica e sull’accentramento del processo di stampa del materiale elettorale in Italia, anche Filippi (Lega).


Nella sua replica, il sottosegretario ha ribadito che «il Governo intende assicurare la massima trasparenza e il carattere pienamente democratico del voto e quindi sarà attivo anche in Parlamento per migliorare il sistema di elezione e correggere le anomalie procedurali rilevate nelle precedenti elezioni».