La manovra è legge. Le opposizione: «Ora il governo lasci»

ROMA – E’ legge la manovra finanziaria più rapida della storia della Repubblica, ma anche una delle più pesanti: la Camera ha approvato il decreto con 314 sì e 280 no. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’ha già firmata e arriverà subito in Gazzetta Ufficiale. Così da lunedì scatteranno i sacrifici, a partire dal ticket di 10 euro su ricette e visite specialistiche. E proprio i sacrifici che vengono accollati sulle famiglie fa insorgere le opposizioni che pure hanno lasciato approvare il decreto a causa delle tensioni speculative sui mercati. Ma se queste lunedì dovessero proseguire la richieste unanime, dal Pd all’Udv all’Udc sono le dimissioni del governo.


La manovra è approdata giovedì sera alle 19 a Montecitorio, in commissione Bilancio, e alle 18,15 di ieri l’aula ha varato definitivamente il decreto, dopo la fiducia votata nel primo pomeriggio. Lì il governo ha ottenuto 316 voti: il che ha fatto dire a Berlusconi che ”nei prossimi due anni realizzeremo le riforme necessarie per l’economia”, mentre Umberto Bossi, che ha la golden share del Governo ha detto che esso ”va avanti”.


Il parere delle opposizioni è ben diverso. Tutte hanno rivendicato il ”senso di responsabilità” che le ha spinte a far passare rapidamente la manovra in Senato e alla Camera per cercare di bloccare la speculazione sui titoli di Stato, ma il loro giudizio sul provvedimento è assai negativo. Ed è condivisa anche l’analisi. Sia Pier Ferdinando Casini (UDC), che Pier Luigi Bersani (Pd), che Antonio Di Pietro (Idv), hanno mosso le stesse critiche: la manovra colpisce solo i ceti medi, famiglie e lavoratori dipendenti, il che tra l’altro trascinerà in picchiata i già stentati consumi interni.


– Chiedo cosa pagherà dopo questa manovra un cittadino ricco come Berlusconi: nulla – ha commentato Bersani. E tutti e tre hanno detto che andava semmai toccata la rendita e i grandi patrimoni, piuttosto che le detrazioni fiscali alle famiglie o imponendo i ticket. E poi i limitati tagli alla politica scattano solo nel 2013.


I dati Istat sulla povertà delle famiglie, diffusi proprio ieri, hanno enfatizzato la contrarietà alle misure del decreto, espresse anche dal associazioni e sindacati. Ed anche i ”liberal” del Pdl hanno fatto sentire il proprio malumore. Antonio Martino ha sì votato la fiducia, ma non la manovra. E Isabella Bertolini ha chiesto al governo di ”cambiare” fase e di avviare le riforme e le liberalizzazioni.


– Questa manovra – si è lamentato Giorgio Stracquadanio – non ha nemmeno tagliato la spesa pubblica, ma solo aumentato le entrate cioè le tasse.


L’incognita è la reazione dei mercati lunedì. Le opposizioni, con Bersani, Casini e Di Pietro hanno chiesto al governo di dimettersi, se sui titoli di Stato dovesse proseguire la tensione speculativa. Tesi definite ”irricevibili” dal capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, che in aula ha detto chiaro:


– Abbiamo ottenuto la fiducia e non ce ne andiamo.