Papa, la Camera vota ‘sì’, Pdl nel caos

ROMA – Con 27 voti di differenza la Camera dice sì alla richiesta di arresto di Alfonso Papa, deputato del Pdl al centro dell’inchiesta sulla P4. Un esito forse inaspettato per il Pdl e che getta nel caos più totale la maggioranza e fa esultare l’opposizione. Non nasconde la rabbia Silvio Berlusconi che, sbattendo il pugno sul tavolo nella sala del governo (dopo aver udito l’esito dello scrutinio segreto), grida vergogna per l’atteggiamento ‘forcaiolo’ della sinistra, garantista a fasi alterne. La rabbia del premier si somma a quella di tutto il Popolo della Libertà, che oltre ad attaccare duramente l’opposizione, punta il dito contro la Lega Nord favorevole ad autorizzare la richiesta d’arresto.

La spaccatura tra Pdl e Lega è evidente, tant’è che il capo del governo, oggi a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo straordinario sula crisi economica, ha già dato appuntamento ad Umberto Bossi domani per un chiarimento sulla tenuta della maggioranza, messa ora seriamente in discussione.
Anche se il cavaliere, a più di un interlocutore, avrebbe espresso la convinzione di poter ‘tenere’ la maggioranza ed andare avanti. L’atmosfera alla Camera è pesante già dalla prime ore del mattino di ieri. Nessuno nella maggioranza si azzarda a fare pronostici. La speranza di molti nel Pdl è che il voto segreto possa dare maggiore libertà a quei deputati che ufficialmente non andrebbero contro le indicazioni del gruppo. Si guarda soprattutto alla Lega Nord ma anche a qualche ‘franco tiratore’ nelle file dell’opposizione. Il responso dello scrutinio però dà un esito diverso dalle aspettative del Pdl e dello stesso Berlusconi che poco prima di entrare in Aula aveva detto di essere ottimista.

La rabbia e lo sconcerto dei deputati pidiellini è palese. Pochi escono dall’Aula con la voglia di dichiarare, l’unico che non si sottrae è Fabrizio Cicchitto.
– Alla Camera c’è stato un voto liberticida – è l’accusa del capogruppo del Pdl che poi va nella sala del governo dove il Cavaliere a stento tiene la rabbia.
– Sono tutti pazzi – tuona il capo del governo con il vertice del partito – pur di colpire me e buttare giù il governo rinnegano principi che dovrebbero difendere nel totale disinteresse per le persone.

E tra i primi a finire sul banco degli imputi è Pier Ferdinando Casini.
– Quello che ha fatto è una vergogna – è il ragionamento del capo del governo. Commenti a caldo, quelli di Berlusconi, prima di riunire a palazzo Grazioli tutto lo stato maggiore del partito. Alla rabbia di Berlusconi si unisce quella del partito.

– Da oggi i pm entrano in Parlamento – dice il vicepresidente della Camera Antonio Leone. Ma qualche dubbio serpeggia anche nel Popolo della libertà circa la possibilità che ci possa essere stato qualche franco tiratore anche nel partito del premier.

Il voto di ieri sta mettendo in evidenza altri problemi nel centrodestra. Oggi al Senato si voterà il rifinanziamento della missioni all’estero e gi`pa si preannuncia un nuovo braccio di ferro con la Lega. Il Carroccio infatti da tempo ha espresso la sua contrarietà a rifinanziarle e l’ex ministro Roberto Castelli ha già annunciato il suo no. Difficile, per diversi esponenti della maggioranza, che non si apra il rischio concreto di una crisi di governo nel caso che da palazzo Madama dovesse arrivare un no al rifinanziamento.

Il sì all’arresto di Alfonso Papa mette in discussione anche la solidità dell’asse tra il premier ed il Senatur. Per i deputati pidiellini lo scrutinio di ieri segna la vittoria del ministro dell’Interno Roberto Maroni, da sempre favorevole a votare sì. Oggi Berlusconi è a Bruxelles per il vertice dei capi di Stato e di governo ma, per domani, ha già fissato l’appuntamento per un faccia faccia decisivo con il leader della Lega Nord.

Vince la linea Maroni. Il Senatur costretto al tradimento

ROMA – Bossi assente. Berlusconi livido e muto. Maroni che, sorridente in Transatlantico, è l’unico a parlare. Si è consumato così, in pochi minuti, quello che in ambienti della maggioranza viene definito il ‘tradimento’ del Senatur, passato per il pressing di Maroni che alla fine è riuscito a ‘spezzare’ l’asse del Nord, portando il Carroccio a votare (inaspettatamente) numeroso per l’arresto di Alfonso Papa. A nulla infatti è servita la moral suasion del premier, che ancora lunedì aveva cercato in tutti i modi di convincere Bossi a ‘salvare il soldato Papa’.


Ma la Lega, anche alla luce della libertà di coscienza lasciata sul finale ai deputati – segnale che era stato letto come una sorta di ‘compromesso’ – ha preferito seguire la spinta della base e le indicazioni ripetute anche ad Arcore da Maroni, votando numerosa per il sì. Scatenando la rabbia, e l’incredulità, del Pdl. E’ Maroni, per l’appunto, l’unico che rompe il silenzio surreale del Transatlantico dopo il voto, per sottolineare che le ‘camicie verdi’ sono state ‘’coerenti’’ e hanno votato ‘’così come avevamo detto’’. Ed è Maroni, anche secondo i pidiellini, il vero vincitore della giornata, visto che il Carroccio, è il ragionamento, non risponde più a Bossi ma a lui.


Del Senatur, invece, nemmeno l’ombra a Montecitorio. Una assenza che ha più di un motivo, e ognuno valido, vista la delicatezza della giornata. E Bossi, ricorda un deputato leghista di lungo corso, ‘’è saggio’’. E quindi non si presenta alla Camera evitando così di mettere la faccia sul ‘tradimento’ e allontanando le voci che vogliono che non abbia più il controllo totale sui suoi. Voci che però si fanno sempre più insistenti tanto da dare per imminente un cambio della guardia al gruppo di Montecitorio a favore del maroniano Stucchi.
Ma la Lega, viene comunque fatto trapelare, non ha votato a cuor leggero per l’arresto di Papa. Perchè nel merito, più di qualcuno anche dopo il voto, ribadisce di avere avuto dubbi fugati all’ultimo istante alla luce della tensione che saliva dalla base: se si fosse fatto diversamente – è il ragionamento dei lumbard – nessuno si sarebbe più potuto presentare in piazza. Certo, c’è pure chi scherza nei confronti delle rimostranze del Pdl, buttando lì che ‘’così gli abbiamo dato una mano, inaugurando il partito degli onesti’’.


Di certo in casa Pdl le battute oggi non sono gradite. Fino all’ultimo nessuno si aspettava il tracollo e ora tutti puntano il dito contro l’alleato ‘infedele’ – o meno affidabile – che crea proprio quel precedente pericoloso tanto temuto dal Cavaliere. Perchè a breve, anche se probabilmente dopo l’estate, toccherà pure esprimersi su Milanese. Il premier, intanto, è furente e ha già fatto sapere che sarà il primo argomento di cui parlerà con Bossi domani, in consiglio dei ministri.


Conseguenze immediate sul governo, per ora, nessuno si azzarda a pronosticarle. Ma già questa settimana, dopo lo schiaffo su Papa e rifiuti, c’è un’altra grana che rischia di fare esplodere i rapporti tra Lega e Pdl: le missioni all’estero, altro punto ‘aggredito’ da Bossi a Pontida. E il viceministro Castelli ha fatto capire che la linea morbida non è cosa leghista, annunciando che darà ‘’un altro dispiacere a Berlusconi’’ votando ‘’no’’ al rifinanziamento.

Il senato salva Tedesco e il Pdl accusa


ROMA – Alberto Tedesco chiede al Senato di dire sì agli arresti domiciliari ma l’Aula del Senato gli nega il consenso con 151 no, 127 sì e 11 astenuti. Il voto ha Palazzo Madama arriva, dopo quello per Alfonso Papa alla Camera di ben diverso segno, poco dopo che il Pdl ha chiesto lo scrutinio segreto per ‘testare’ le affermazioni delle opposizioni che avevano annunciato compatte il sì alla richiesta della Procura di Bari. Tedesco, iscritto al gruppo misto e autosospeso da quello del Pd, cita a conclusione del suo discorso Pietro Nenni:
– Si faccia ciò che si deve, accada quel che può.


Ma alla fine è ben contento di non andare ai domiciliari. Ringrazia tutti e dice:
– Non faccio il dimissionario per professione – confermando così di non avere alcuna intenzione di dimettersi, cosa questa che gli era stata chiesta a gran voce durante il dibattito che ha preceduto il voto. E il risultato scatena l’inevitabile, e prevista, polemica con parapiglia ed una rissa nel Salone Garibaldi, il piccolo Transatlantico del Senato. Oggetto: l’accusa lanciata da Domenico Gramazio (Pdl) che è uscito dall’aula imprecando contro quei 24 senatori democrat che, secondo lui, hanno votato con il Pdl per il no all’arresto, sconfessando così l’indicazione data dalla capogruppo Anna Finocchiaro.


– I soliti “franchi salvatori” – ironizza qualcuno tra i presenti. Alla dura recriminazione di Gramazio, condita da spintoni, apprezzamenti salaci e quant’altro, replica il capogruppo del Pd che, conteggi alla mano – facendo la tara tra senatori presenti, in missione, e votanti – accusa direttamente la Lega di aver votato in maniera ben diversa dal sì all’arresto strombazzato in Aula proprio per mettere in difficoltà il Pd.
– La lettura politica del voto – dice – è agevole. La Lega ha annunciato che avrebbe votato per concedere l’autorizzazione all’arresto e invece ha votato con il PdL. I numeri parlano chiaro; quelli delle opposizioni ci sono tutti. Quelli che mancano sono quelli della Lega – continua avanzando anche l’idea che i tempi del voto al Senato siano stati ‘’tarati’’ sulla necessità della Lega di incassare prima alla Camera lo ‘’scalpo’’ di Alfonso Papa per poi mettere in difficoltà le opposizioni al Senato stravolgendo il senso politico del loro voto per l’arresto. A cercar di metter ordine, politico e matematico, arriva il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri che ammette, tagliando corto, che al risultato finale hanno concorso ‘’sicuramente anche voti della Lega e di alcuni del Pd’’.
– I numeri del Senato sono chiari.


Certo è che i maggiori sospetti, secondo i dati analizzati dal Pd, si addensano sul Carroccio. Il fronte per il sì era ben presente in Aula: per il Pd c’erano 101 senatori su 106, 12 IdV su 12 e 12 del Terzo polo su 12. Restano esclusi quelli dell’Udc, ‘’ma basta aggiungerne un paio’’ che arriviamo a quota 125, molto vicina ai 127 dell’esito finale, dicono le fonti del Pd. Per la maggioranza erano presenti 118 senatori Pdl su 131, 10 senatori Cn su 10 per complessivi 128 voti. I calcoli del Pd aggiungono, ad occhio, dei senatori del Misto (5) e sottraggono l’astenuto Viespoli (Cn). Siamo a quota 132. Rispetto a 151 mancano una ventina di voti, e la Lega Nord, esclusa finora dal conteggio, ne conta 26 di cui presenti in Aula erano 23. Da qui i maggior sospetti proprio sulla Lega Nord.