Micheloni: “Più uffici e personale assunto in loco”

CARACAS – Archiviata, almeno per ora, l’assurda pretesa di cancellare la circoscrizione estero. Ma, per tanti, non è stata solo una ‘boutade’ estiva. In loro c’è la convinzione che la Lega Nord, che non ha mai manifestato simpatie nei confronti delle nostre comunità, abbia saputo interpretare gli umori di una parte degli italiani; di coloro che non hanno ancora digerito che, senza doversi recare in Italia, possa votare alle ‘politiche’ e ai ‘referendum’ anche chi risiede all’estero trasformandosi in attore e non solo spettatore.

Comunque, passata la burrasca, tornano a tener banco la manovra, il voto all’estero e la legge sui Comites e il Cgie. Di questo, appunto, abbiamo parlato col senatore Claudio Micheloni, eletto in Europa nella lista del Partito Democratico.
– A suo giudizio – chiediamo -, quali ripercussioni avrà la manovra sul budget destinato alle nostre comunità? Quali saranno, se ci saranno come si da per scontato, le conseguenze?
– Non sono, quelli contemplati nella manovra – precisa il senatore -, tagli definiti ai vari capitoli dei ministeri. Sono i ministri che hanno l’autonomia di decidere come ridurre le spese, nella misura della cifra di loro competenza. Noi, per quel che riguarda il ministero degli Esteri, abbiamo già detto in commissione Affari Esteri del Senato che vogliamo essere consultati dal ministro prima che si decida dove tagliare.

Sostiene che il dicastero degli Esteri “taglia sempre su due capitoli: quello relativo alle politiche di cooperazione allo sviluppo” e quello che interessa “gli italiani all’estero”.
– Tutto il resto, le spese di funzionamento del ministero – prosegue -, non subisce alterazioni. Noi vorremmo evitare che si ripeta questa politica del ministero degli Affari Esteri. Ed in questo senso, mi ricollego ad una iniziativa che stiamo portando avanti in Senato ed alla quale ha aderito anche la Camera: la realizzazione di una indagine conoscitiva sul finanziamento e utilizzo dei fondi del ministero.
Afferma che nel Pd si è convinti che “ci sono altri capitoli di spesa su cui risparmiare e non solo quello relativo agli italiani all’estero”.
– Devo dire – aggiunge – che anche gli altri partiti condividono le nostre preoccupazioni. Insomma, si ha la certezza che si possa risparmiare anche altrove e non solo sul capitolo destinato agli italiani all’estero o ai corsi di lingua e cultura italiane e ai servizi consolari. Per ora – prosegue -, è impossibile dire quali saranno le ripercussioni che la manovra avrà all’estero.

Molto dipenderà dall’evoluzione politica e dalla nostra richiesta d’essere consultati dal ministro degli Esteri.
– Non avete già fatto una prima analisi? Pare che i tagli, ancora una volta, siano lineari e non selettivi…
– I tagli al budget del ministero degli Esteri – spiega – rappresentano le cifre globali del sacrificio richiesto. Quelle ricordate al vostro Giornale dall’on. Franco Narducci sono esatte. E’ prematuro dire quali ripercussioni avranno, poichè ancora non è stato disciplinato quali capitoli di spesa subiranno le decurtazioni. Deve deciderlo il ministro. E noi vorremmo intervenire in questa scelta per salvaguardare due capitoli che ci stanno particolarmente a cuore: cooperazione allo sviluppo e italiani all’estero. Non possiamo prevedere quali risultati riusciremo ad ottenere. E poi bisognerà vedere cosa accadrà con questo governo. La situazione non è tranquilla. Si è visto quale reazione hanno avuto le Borse all’indomani dell’approvazione della manovra.

Il provvedimento non ha convinto i mercati, non è stato sufficiente a tranquillizzarli.
– Non si ha fiducia nella manovra o in chi è responsabile di portarla avanti?
– Ecco, a mio avviso il problema risiede proprio in questo – afferma -. L’entità della manovra è molto pesante. E probabilmente, come ha sostenuto l’economista ed ex ministro, Luigi Spaventa, i criteri di giudizio dell’economia italiana sono sicuramente tra i migliori d’Europa con questa manovra, nella sua globalità. Questa è una manovra che si potrebbe definire iniqua ed ingiusta ma globalmente ci colloca in un’ottima posizione.

E prosegue dicendo che se i mercati non si fidano “o ritengono la manovra insufficiente è perchè non c’è fiducia nel governo e nella tenuta politica dell’Italia”. Spiega:
– E’ questo il vero problema che oggi ha il paese. E va al di là dell’entità delle cifre della manovra. Le difficoltà per la tenuta di questa maggioranza sono tante. Credo che, nel fondo, sia questa la ragione principale che spiegherebbe l’attacco speculativo contro l’Italia.
Recessiva, regressiva, e fiscalista. Sono stati tanti gli aggettivi spesi da economisti, analisti e dotti nella materia per spiegare come la manovra voluta dal ministro Tremonti, oltre ad operare soprattuto sul fisco con conseguenze assai negative sul potere d’acquisto delle fasce più deboli, comprime consumi ed investimenti e non prevede provvedimenti che siano di stimolo alla crescita economica. Per questo chiediamo:
– Quanto incide, sulla manovra, l’assenza di misure orientate a dare ossigeno alla crescita?

Risponde:
– E’ questo l’aspetto sul quale più ci siamo battuti nelle poche ore che abbiamo avuto a disposizione. Abbiamo detto che questa è una manovra recessiva. Sulla crescita, ora, ci dovrebbero essere i decreti di riforma fiscale. Ma ritengo che i mercati non si fidino. Non ci sono misure per rilanciare l’economia. C’è un capitolo che pesa una quindicina di miliardi. E’ la delega per la riforma fiscale: abbassare le tasse sul lavoro e alle imprese.

E torniamo alla nostra comunità che da sempre soffre i rigori della crisi. I tagli cominciano tradizionalmente proprio da chi vive all’estero. Allora ci si chiede: cosa fare per evitare pesanti ricadute sulle nostre Collettività?
– La voce delle nostre comunità l’abbiamo già fatta sentire e con forza – ci dice il senatore Micheloni per poi spiegare che “in Italia la politica è molto chiusa in sè stessa”.
– Le nostre comunità – sottolinea – contribuiscono quotidianamente al mantenimento dell’Italia. Se i mercati esteri sono aperti al nostro paese è anche grazie agli italiani che vivono nel mondo. Noi non abbiamo bisogno di dimostrare di cosa siamo capaci. Lo facciamo tutti i giorni. Se le nostre comunità smettessero di acquistare prodotti italiani, si verrebbe a creare una situazione drammatica per l’Italia. Purtroppo non riusciamo a farlo capire. Questo stesso problema lo vivono i giovani, i ricercatori.

Proteste e manifestazioni, seguite da dichiarazioni di buona volontà. Ma, poi, per i giovani le difficoltà restano le stesse. Ed allora, cercano altrove ciò che in patria non trovano. E’ un film già visto: ma con una differenza. Nell’immediato dopoguerra, la nostra emigrazione era costituita da mano d’opera non qualificata. Insomma, operai, braccianti, apprendisti, e artigiani. Oggi ad emigrare sono scienziati, ricercatori, professionisti qualificati. In altre parole, giovani con due o più lauree corredate da master e corsi di specializzazione. Una vera e propria “fuga di cervelli”.
– Il paese – insiste il Senatore del Pd – taglia sui giovani e non investe nella ricerca. Questi giovani li ritroviamo, poi, in Germania, in Inghilterra, in Spagna ed in altri Paesi. Creano, innovano. Ecco cosa sta accadendo. Tutto ció dimostra la cecità della politica italiana. C’è bisogno di ripensare il paese. L’Italia non ce l’ha con gli italiani all’estero; ce l’ha con gli italiani.

Dopo aver sottolineato che oggi “esiste una campagna di denigrazione ai danni della politica” e aver assicurato che “i giornali continuano a pubblicare informazioni assolutamente strumentali che puntano all’anti-politica e allo scandalo”, si sofferma sugli effetti della ‘finanziaria’ sulle nostre comunità.
– Dobbiamo concludere assolutamente entro la fine dell’anno l’indagine che abbiamo aperto sul ministero degli Affari Esteri – ci dice -. La riforma dei servizi che il ministero propone soprattutto per l’Europa risponde a una logica che noi non condividiamo. Sosteniamo che abbiamo bisogno di meno diplomazia e di più uffici in cui possano essere assunti connazionali in loco per dare i servizi di cui hanno bisogno le nostre comunità.
Spiega che “molto dei rapporti tra gli italiani all’estero e l’Italia è il prodotto non solo delle scelte politiche di chi governa il paese ma soprattutto di quelle amministrative fatte dal ministero”.
– Stiamo cercando di incidere fortemente su queste – assicura.
– Il ministero col tagliare la rete consolare e col ridurre il personale pare voler andare controcorrente.

Insomma, nella direzione opposta a quella che voi indicate.
– Giusto – ammette -. Questa è la linea che segue il ministero. Noi pensiamo, e su questo punto di vista c’è un’ampia convergenza politica in commissione Esteri, che si può fare diversamente. Non abbiamo bisogno di decine e decine di consoli. Sono sufficienti piccoli uffici sul territorio attraverso i quali dare servizi alla comunità. Inoltre, questi servizi potrebbero essere erogati da italiani che vivono sul territorio; connazionali ben felici, siamo sicuri, di essere assunti accettando le condizioni lavorative del paese di residenza. Ti porto un piccolo esempio per concludere. Noi inviamo ancora dei ragionieri per curare la contabilità dei consolati, cosa che qualsiasi buon padre di famiglia è in grado di fare. Ebbene, il nostro ragioniere riceve netti 10 mila euro al mese. Ti lascio immaginare quanto costa mantenere personale di questa tipologia. Noi vogliamo trasformare questa logica, cambiarla. E portare la diplomazia dove effettivamente è necessaria. Dove vi sono le nostre comunità, noi vogliamo uffici di servizi per i connazionali; servizi erogati da connazionali che vivono sul posto e, quindi, con costi infinitamente più ridotti. E’ naturale che questa nostra proposta non piaccia al personale diplomatico. Questo è il conflitto di fondo.

Comites e Cgie

COMITES – Comites e Cgie. Istituzioni dal futuro incerto. Senz’altro utili, nonostante in alcuni paesi siano state criticate e ‘chiacchierate’ per la condotta poco etica di certi loro membri, rischiano di morire lentamente. Sembrerebbe che non ci sia interesse nel mantenerne le strutture. Come spiegare altrimenti i rinvii al rinnovo delle cariche; rinvii che tanto danno gli stanno arrecando?
– E’ un momento molto delicato – commenta il senatore del Pd -. Il governo, per problemi suoi, ha decretato il rinvio delle elezioni. Ci siamo opposti, senza purtroppo riuscire ad evitarlo. Così, nel Senato ne abbiamo approfittato per lavorare moltissimo.

Ci dice che la nuova Legge sui Comites e il Cgie, votata al Senato, a suo giudizio “è perfettibile e ad ottobre verrà discussa alla Camera”. E’ ottimista sul risultato e sicuro che, “dopo pochi giorni e con le modifiche che le verranno fatte, potrà essere approvata”. Ed allora, “non ci sarebbero più ostacoli per il rinnovo delle cariche”.
– Se non si presentano inconvenienti – assicura l’intervistato – si potrà finalmente votare per rinnovare Comites e Cgie. Comunque vada, le elezioni si realizzeranno entro la primavera del 2012. Il governo si è formalmente impegnato in tal senso.

Il Senatore Micheloni è fiducioso. A suo avviso, “esistono le condizioni per avere una nuova legge entro novembre”.
– Il testo, durante il dibattito nel Senato, è stato accompagnato dalle polemiche. Alcuni emendamenti non sono passati.
– E’ vero – ammette -. Secondo me vi sono alcuni punti fondamentali, forse 6 o 7, che vanno discussi e presi in considerazione.
– Potrebbe illustrarceli?
– Innanzitutto, bisognerebbe permettere l’insediamento di più di un Comites per circoscrizione Consolare – commenta -. Inoltre, sarebbe assai utile se non si stabilissero limiti al numero dei candidati dei patronati. Quello proposto nella nuova legge pare eccessivamente restrittivo. Credo che sia molto interessante se si riuscissero ad integrare, anche se non con il diritto di voto, alcuni rappresentanti di istituzioni. Considero anche opportuno ridurre il numero degli elettori per l’insediamento del Comites. Noi proponiamo di portarlo da 20 mila a 15 mila, almeno in Europa. E poi, a mio avviso, è importante la valenza dei Comites. Noi abbiamo proposto che, nella loro relazione annuale per il ministero degli Esteri, vi sia anche una valutazione sui servizi consolari. E chiediamo che questa relazione diventi uno dei parametri di valutazione delle carriere consolari e diplomatiche. Ecco, questi, a mio avviso, sono alcuni punti fondamentali. Non siamo poi tanto lontani da una riforma condivisa.

L’esercizio del voto all’estero

CARACAS – Esercizio del voto. Se ne è parlato tanto nelle scorse settimane. In particolare, nei giorni che hanno preceduto il referendum. Ovviamente, non manca chi, militante o semplicemente simpatizzante di movimenti xenofobi e reazionari, lo critica, nella speranza che prima o poi venga negato. E c’è chi, invece, lo difende e propone idee innovative per renderlo più sicuro.

Certamente il senatore Claudio Micheloni si annovera tra quest’ultimi; nella folta schiera, cioè, di coloro che ritengono l’esercizio del voto all’estero un diritto inalienabile.
– La riforma dell’esercizio del voto – commenta il nostro intervistato – è stata incardinata da una decina di giorni. Sono stati presentati tantissimi disegni di legge che hanno molti punti in comune. In questi giorni, al di lá di quello che verrà proposto nella riforma costituzionale, e non credo che questa sia possibile nell’attuale legislatura, maggioranza e opposizione faremo un lavoro congiunto per migliorare e mettere in sicurezza il voto degli italiani all’estero. Come? Ad esempio, modificando il certificato elettorale.
Il parlamentare spiega che si seguirà la falsariga di quanto è stato già studiato per la legge del Comites e del Cgie.

E prosegue:
– Lo faremo creando i ‘Comitati Elettorali’ presso ogni consolato, in modo tale che non sia più il Console o l’autorità diplomatica a gestire in modo autonomo e senza alcun controllo il processo elettorale. Sappiamo bene, in Venezuela in particolare, cosa vuol dire la manipolazione delle schede elettorali. Siamo sicuri che con tre o quattro provvedimenti come questi si riuscirà ad ottenere una trasparenza ed una sicurezza imparagonabili con quelle che hanno caratterizzato i processi precedenti.

Il senatore Micheloni, comunque, non si fa illusioni. E’ cosciente che una riforma profonda che preveda, ad esempio, “la creazione dell’elenco degli elettori presso i consolati, richiederà tempo”. Quindi, “non sarà possibile realizzarla prima della fine di questa legislatura”. Anche così, è convinto che “vi sono provvedimenti che potranno essere presi d’immediato” per “migliorare l’esercizio del voto per corrispondenza”. Ad esempio, il certificato elettorale che dovrà essere sottoscritto dall’elettore; o la fotocopia di un documento dell’elettore da allegare nel plico e e così via dicendo.
– Tutto ció – assicura – condurrà ad una maggiore trasparenza nell’esercizio del voto per corrispondenza. Sono provvedimenti molto simili a quelli già applicati in altri paesi. Ce l’hanno da tanto tempo e funzionano.
Spiega che oggi “è sufficiente essere in possesso di un plico elettorale per farne ciò che si vuole”.
– Negli altri paesi – prosegue – non è così. E noi già da due settimane stiamo lavorando, nel Senato, per modificare questa atipicità; atipicità puramente italiana che non da garanzie sul voto per corrispondenza.

Il senatore, che è convinto difensore del voto per corrispondenza, ritiene che così facendo si darà “una risposta al tentativo di sopprimere il voto all’estero”.
– Eliminare il voto per corrispondenza – commenta il senatore Micheloni – è obbligare chi risiede all’estero a recarsi ai seggi, come vorrebbe l’attuale ministro degli Interni. E ció comporterebbe una sostanziale riduzione dell’elettorato all’estero. Sarà negato indirettamente il diritto di voto.
Considera che molti connazionali dovranno percorrere “lunghe distanze per raggiungere i seggi”. Sarà un disagio che non tutti, o per l’età o per ragioni economiche, “potranno affrontare”.
– E così – conclude – si rischia di avere un numero veramente esiguo di elettori che darà forza a coloro che desiderano si elimini il voto all’estero. Nel fondo, è questo l’obiettivo di chi propone votare presso seggi istituiti nei nostri consolati.

Mauro Bafile