Riccò vicino a fine corsa, chiesti 12 anni di stop

ROMA – Dodici anni di squalifica. Pesa come un macigno su Riccardo Riccò la richiesta avanzata dalla Procura antidoping del Coni al Tribunale nazionale antidoping (Tna) per il sospetto caso di autoemotrasfusione che lo scorso febbraio fece temere per la vita del ciclista.

Gli inquirenti del Coni hanno valutato come estremamente grave il comportamento del ventottenne, già recidivo dopo la squalifica a 20 mesi nel 2008 per positività all’epo nel corso del Tour de France. Il ciclista rischia così di chiudere la carriera proprio quando, superato il brutto episodio di tre anni fa, aveva occasione di entrare nel gruppo dei migliori del ciclismo azzurro.


Professionista dal 2006, il corridore di Formigine aveva raccolto parziali successi fino al secondo posto al Giro d’Italia 2008. Doveva essere l’anno della sua consacrazione, ma si trasformò in un incubo. Al successivo Tour, dopo aver vinto due tappe proponendosi come il nuovo Pantani, risultò positivo al cera, l’epo di ultima generazione. Cacciato dalla squadra, Riccò venne sospeso dal Tribunale nazionale antidoping. A ottobre giunse la sentenza, due anni di squalifica, poi ridotta a due anni dal Tribunale arbitrale dello sport (Tas) di Losanna.


Il corridore tornò in attività a marzo 2010, vincendo con il giro d’Austria, e poi passo alla Vacansoleil, squadra con voleva tornare in alto. Un improvviso ricovero, il 6 febbraio, fece riaccendere i riflettori su di lui: un blocco renale gli aveva fatto rischiare la morte. A metterlo nei guai fu il medico del pronto soccorso dell’ospedale di Pavullo, che dichiarò che il corridore gli aveva confessato di essersi fatto una autoemotrasfusione a casa. Partirono due inchieste; una del Coni e una della Procura. Il corridore ha poi sempre negato di aver fatto uso della pratica, vietata dal 1985, e di recente avrebbe invece ammesso solo una autotrasfusione di una soluzione ferrosa prescritta da un medico. A otto mesi dal ricovero e dopo la sua sospensione decisa prima dalla Federciclismo e poi dal Tna – per la Procura antidoping il caso è chiaro e la pena da applicare è senza appello, praticamente una radiazione.


“Per quello che ha fatto, i 12 anni di qualifica potrebbero essere una pena appropriata – ha commentato il presidente della Federazione ciclistica italiana, Renato Di Rocco – Riccò ha già fatto tanti danni al ciclismo: ora non resta che fidarsi degli organi di giustizia”.


Di Rocco – in un’altra giornata nera per il ciclismo, che vede anche il ct della nazionale Paolo Bettini indagato a Padova per abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta antidoping – può in parte consolarsi con un’altra decisione della Procura antidoping, che ha chiesto l’archiviazione per un altro ciclista azzurro, Luca Paolini, risultato estraneo in un’inchiesta dei magistrati di Como su un traffico di sostanze dopanti.