Tutti in fila per salutare Marco, Coriano è un santuario

CORIANO – Tutti in fila per Marco Simoncelli. La pioggia, il grigio e il vento freddo della Romagna che sprofonda, triste, nell’autunno, non hanno fermato la marea di gente che amava, apprezzava e che ora piange sinceramente il campione semplice e umano di Coriano. Gente comune che ha voluto a tutti i costi esserci per rendergli omaggio un’ultima volta. Più ancora dei giorni scorsi, la cittadina sulle prime colline riminesi dove Marco viveva, è parsa un silenzioso santuario. Alla fine, oltre diecimila persone sono salite in pellegrinaggio alla camera ardente, per dire addio al loro eroe perduto. Uomini e donne, giovani, anziani e bambini, arrivati in macchina o in moto, nonostante l’acqua che impietosa è scesa fino a metà pomeriggio. Poi sono sfilati a piedi, nel centro chiuso al traffico. Si sono messi composti in coda senza fiatare, fino al piccolo teatro comunale.
Provenienti da Milano, Reggio Emilia, Mantova, Verona, Bologna. Ma, soprattutto, da quel fazzoletto d’Italia lì, tra la Romagna e le Marche. Dove la gente nasce con l’amore nelle viscere per i motori, e che così tanti assi ha donato al motociclismo. Lui, Marco, è stato mostrato alla lenta processione, attraverso una lastra di vetro. Capelli sciolti come se il vento potesse scompigliarli per sempre, una maglietta e un paio di jeans come quelli che portava quando passeggiava per le strade del paese, sulle mani i segni della terribile caduta che lo hanno strappato per sempre, nella lontana Malesia, al mondo delle corse e alla vita.
Dietro al feretro, sul palcoscenico, due moto: quella con la quale Simoncelli aveva vinto il mondiale 250 e che teneva in camera da letto, poi quella con cui correva nel MotoGp. Sullo sfondo, proiettata, una grande foto di lui sorridente. In molti sono usciti in lacrime, hanno portato fiori e corone, che a fine giornata hanno sommerso il palco.
“Certo che lo conoscevo”, ha detto una signora del paese, dopo la visita. “Lo conoscevamo tutti, fin da quando da ragazzino andava con le minimoto nei campetti di Coriano, qua dietro”. “Ho portato una lettera – ha raccontato un ragazzo, con la voce rotta – e gli ho scritto di quella volta che ci eravamo incontrati nel paddock, a Misano. Lui aveva da poco vinto il suo primo gp, e io gli ho detto che avrebbe trionfato presto nel mondiale. Era uno sempre disponibile, con tutti. Era così, come lo vedevi in tv”.
Fuori, tutto il paese è sempre più tappezzato da striscioni e dal suo numero di gara, il 58, scritto in tutti i modi possibili. Dal teatro, davanti alla piazza, si sale su per una gradinata ricolma dei ricordi portati in memoria del pilota, fino alla chiesa, dove domani si terranno le esequie, blindate. Di mattina è stata celebrata un’ultima messa di suffragio. Anche in chiesa, c’era lo spazio per un ulteriore omaggio, con una foto del campione e un libro nel quale imprimere preghiere e messaggi, in un altarino laterale. Opportunità riservate per stringersi, anche idealmente, alla famiglia. Molti dei colleghi del circus lo faranno domani, al funerale, con le autorità.
In giornata, sono passati Gibernau e Marco Melandri. Il ravennate, ora in Superbike, ha forse preferito un addio intimo a quello di massa di oggi: “Sono venuto a salutare un amico”, ha detto semplicemente, molto commosso. Poi è sfilato via tra la gente. Talmente tanta, che ha sorpreso pure il manager, Fausto Gresini: “Forse non ci siamo resi conto nemmeno noi di quanto Marco era amato davvero”.