Lettera Ue, licenziamenti: sindacati pronti allo sciopero

ROMA – Sindacati pronti allo sciopero contro le misure indicate dall’Italia nella lettera all’Ue. A compattare le reazioni delle organizzazioni dei lavoratori – Cgil, Cisl, Uil e Ugl – contro il governo sono i licenziamenti per motivi economici, che saranno nero su bianco entro maggio 2012. Entro quella data l’esecutivo si è impegnato ad approvare una riforma della legislazione del lavoro in tal senso.

La Cgil parla di norme da “incubo”, assicura una “reazione con la forza necessaria” sulla scia della proposta, avanzata già ieri dal numero uno Susanna Camusso, di una mobilitazione unitaria.

Anche Cisl, Uil e Ugl non approvano la linea del governo, considerano “un grave errore e una inaccettabile provocazione” l’intenzione di intervenire sui licenziamenti, e minacciano la rottura della “coesione sociale” e, quindi, di scendere in piazza. Lo dicono prima singolarmente, poi le tre sigle lo ribadiscono in una nota congiunta.

– Qualora il Governo – scrivono – intendesse intervenire sulle materie del lavoro senza il consenso delle parti sociali, Cisl, Uil e Ugl saranno costrette a ricorrere a scioperi.

Un primo fronte comune. Quindi, uno sciopero anche con la Cgil?

– Ovviamente credo che questo sia possibile – risponde il leader della Uil, Luigi Angeletti – anche se nessuno si auspica, almeno noi non auspichiamo, che il governo ci spinga a ciò.

Alla stessa domanda il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, risponde “sì”.

– Se ci sarà la stessa opinione sul fisco, sui costi di politica e amministrazioni, sullo sviluppo e sulle relazioni industriali è chiaro che agiremo uniti. Altrimenti – è il suo richiamo – marceremo divisi e colpiremo uniti, come nel caso dei licenziamenti.

Anche a Camusso viene chiesto se ci saranno iniziative comuni.
– Ci ragioneremo, vedremo – risponde – Credo sia giunto il momento di pensare a una stagione di mobilitazione unitaria.

Intanto considera “importante che ci sia un giudizio comune con Cisl e Uil”. Al centro c’è il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: non nasconde la convinzione che “siamo l’unico Paese al mondo che ha regole così rigide” sui licenziamenti e che bisogna “dismettere l’abito ideologico”, ma assicura che presto partirà il tavolo con le parti sociali, alle quali chiede di mettere da parte “pregiudizi” e di avere un “atteggiamento responsabile”. Respinge come “assolutamente falso il parlare di licenziamenti facili”. E spiega l’obiettivo della norma: non licenziare, ma incoraggiare le aziende ad assumere. Evitando così, in presenza di andamenti economici negativi per l’azienda o il settore, “le grandi difficoltà nel fare un passo indietro”. Anche “se le prospettive sono incerte”.

– E le prospettive incerte – precisa – sono la caratteristica del nostro tempo e, temo, destinate a durare.
Il suo richiamo è anche all’opposizione:
– I ‘no’ non fanno né crescita né occupazione. E tantomeno aiutano la stabilità.

Camusso non cambia idea e, a suo giudizio, Sacconi resta l’unico ministro del Lavoro “nella storia della Repubblica che è contro i lavoratori”. In campo scendono anche gli ex leader di Corso d’Italia.
– Altro che Indignados – ironizza Guglielmo Epifani.

– Dopo le deroghe introdotte con l’articolo 8 della manovra, il governo ora annuncia la completa cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – dice Sergio Cofferati, oggi europarlamentare del Pd, che nel 2002 alla guida della Cgil portò in piazza a Roma 3 milioni di persone a difesa dell’articolo 18.