Ichino: “Gli equivoci inquinano il dibattito”

ROMA – Il giuslavorista Pietro Ichino, commenta le diverse posizioni emerse nel dibattito sulla flessibilità in uscita dal mondo del lavoro.


– I sindacati dicono no, pur con diverse sfumature, a un tavolo di confronto con il governo sui licenziamenti. Si tratta di una posizione conservatrice o è il timore che le imprese possano ‘approfittare’ dato il momento di crisi?


– E’ la conseguenza del modo improvvisato e impreciso con cui nei giorni scorsi il Governo ha affrontato una questione che è di per sé ansiogena, come questa. Probabilmente l’atteggiamento dei sindacati cambierebbe se il Governo chiarisse in modo univoco che non intende modificare la disciplina dei licenziamenti applicabile ai rapporti stabili già esistenti, ma soltanto ridisegnare un diritto del lavoro applicabile a tutti i rapporti che si costituiranno da qui in avanti.


– La Cgia di Mestre sostiene che se passasse la proposta di una maggior flessibilità in uscita il tasso di disoccupazione arriverebbe a sfondare la soglia dell’11%. Sacconi ha già smentito. Cosa ne pensa?
– Questo è un esempio dell’equivoco che sta inquinando il dibattito. Il discorso della Cgia si riferisce a un’ipotesi diversa da quella di cui oggi si dovrebbe discutere.


– Tutti a tempo indeterminato, ma tutti licenziabili: non significherebbe ancora tutti precari?


– Niente affatto: il progetto contenuto nel disegno di legge n. 1873, che ho presentato due anni fa con altri 54 senatori dell’opposizione, prevede l’estensione a tutti – compresi i precari di oggi – della protezione dell’articolo 18 contro i licenziamenti discriminatori e quelli disciplinari. E per i licenziamenti dettati da motivi economici prevede un trattamento di assistenza nel mercato del lavoro di tipo scandinavo, che collocherebbe pur sempre l’Italia tra i Paesi dove è garantita ai lavoratori la maggiore sicurezza economica e professionale.


– I sindacati sembrano ricompattarsi contro la proposta sui licenziamenti. Come valuta l’ipotesi dello sciopero?


– Una volta che sia chiarito che la riforma riguarda soltanto i rapporti di lavoro futuri, i sindacati devono rispondere a questa domanda: se per i giovani che si affacciano oggi sul mercato del lavoro preferiscono la situazione attuale, oppure una situazione in cui tutti siano assunti a tempo indeterminato – tranne ovviamente i casi classici di contratto a termine -, a tutti siano date le protezioni essenziali, compresa una robusta assistenza nel mercato del lavoro in caso di perdita del posto, ma nessuno sia inamovibile. Perchè oggi nessuno, neppure la Cgil, propone di estendere a tutti l’articolo 18. Il segretario della Cisl Bonanni risponde che il legislatore non deve occuparsi di queste cose, che sono di competenza della contrattazione collettiva. Ma Raffaele Bonanni deve essere coerente. Fino al giugno scorso ha obiettato al mio disegno di legge che su questa materia non spetta al legislatore intervenire, perché è competenza di sindacati e imprese. Poi, quando il decreto di Ferragosto ha delegato totalmente la materia alla contrattazione collettiva, ha dichiarato che in materia di licenziamenti la Cisl non avrebbe mai stipulato accordi in deroga alla legge. Ora torna a dire che non spetta al legislatore occuparsene. Ma allora, se non tocca al legislatore occuparsene, perché non se ne occupa il sindacato, visto che l’articolo 8 del decreto di Ferragosto gliene dà il potere? O dobbiamo dedurne che il segretario della Cisl considera la legislazione del lavoro oggi vigente in Italia e la situazione del mercato del lavoro le migliori possibili?.


– Sacconi lancia nuovamente un allarme sul rischio ‘terrorismo’. Camusso nega che la ‘temperatura’ nelle fabbriche si stia riscaldando. Si sente chiamato in qualche modo in causa?


– Sono d’accordo con quel che ha detto su questo punto Susanna Camusso: il rischio di atti di violenza minacciati da terroristi non può essere utilizzato per comprimere il dibattito, o peggio per accollare a chi dissente la responsabilità oggettiva di eventuali aggressioni commesse da altri. Però a rasserenare il clima contribuirebbe anche una maggiore serietà del dibattito. Per esempio occorrerebbe che i sindacati, invece di stabilire dei tabù entrassero nel merito della questione, indicando i punti di consenso e di dissenso, e soprattutto indicando le soluzioni alternative rispetto a quelle che respingono.