007 cauti, nessun segno di ritorno alla lotta armata

ROMA – Che vi siano dei rischi, nessuno lo nega. Visto soprattutto un conflitto sociale che si fa sempre più aspro per via della crisi e la conseguente radicalizzazione delle lotte. Ma non ci sono allo stato elementi per poter ipotizzare un ritorno della lotta armata. Servizi segreti e antiterrorismo ribadiscono, come fanno da mesi, che nel Paese non ci sono al momento soggetti o sigle che possano far risorgere il progetto brigatista. Ciò non significa però che l’Italia possa dire di aver chiuso definitivamente il discorso con il terrorismo. Perchè, scrivevano i Servizi nella relazione consegnata al Parlamento già all’inizio dell’anno, ‘’il brigatismo continua a rappresentare un importante riferimento simbolico’’ e dunque ‘’non possono escludersi, in prospettiva, ulteriori tentativi di ricompattamento delle forze residue per il rilancio di programmi violenti’’.

Tentativi che però al momento sembrano non esserci, tanto che negli ultimi mesi le informative dell’intelligence inviate all’autorità politica hanno riguardato scenari e contesti diversi. L’ultima indagine su personaggi che si richiamavano alle Br, tra l’altro, è l’ ‘Operazione Tramonto’ del febbraio 2007 nei confronti delle cosiddette ‘nuove brigate rosse’ del Partito comunista politico-militare, quello che si rifaceva alla seconda posizione delle Br, l’ala movimentista che cercava il consenso del proletariato da affiancare alla lotta armata. Il processo d’appello nei loro confronti si e’ chiuso a giugno dell’anno scorso con 13 condanne e pene fino a 14 anni.


Quel che invece preoccupa di più gli investigatori è ‘’l’attivismo’’ degli anarco-insurrezionalisti, che continuano a darsi da fare per costruire quel ‘Fronte rivoluzionario internazionale’ annunciato in un documento della Federazione anarchica informale reso pubblico nell’agosto scorso e nel quale si indicavano tre punti chiave: l’azione diretta ‘’distruttiva come elemento indispensabile e imprescindibile, che può andare dal lancio di una molotov all’assassinio, senza alcuna gerarchia di importanza’’; la ‘’perenne rivolta contro l’esistente, contro il potere politico e del capitale’’; la ‘’solidarietà rivoluzionaria internazionale’’, con una serie di campagne ‘’che verranno raccolte dagli altri gruppi del Fai’’.


Sono proprio gli ‘informali’, infatti, ad aver rivendicato negli ultimi anni gli attacchi terroristici a diversi obiettivi presenti nel nostro paese: dal pacco bomba alla Bocconi a quello al Cie di Gradisca d’Isonzo, dalla bomba alla Folgore ai pacchi spediti alle ambasciate di Grecia, Spagna e Svizzera. E secondo gli investigatori qualcuno di loro ha partecipato, assieme agli antagonisti più duri, agli scontri di Roma del 15 ottobre, che il ministro dell’interno Roberto Maroni ha definito ‘’terrorismo urbano’’. Un elemento nuovo che non era sfuggito all’intelligence e all’antiterrorismo che già da tempo hanno segnalato il confronto in corso tra le diverse anime del panorama estremista con l’obiettivo di unire le diverse istanze ‘’sotto il comune denominatore della radicalizzazione delle lotte nell’attuale periodo di crisi’’.