Diario della crisi. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’Italia

Crisi. Questa la parola che già da alcuni anni ha calamitato gran parte delle attenzioni del mondo dell’informazione e dell’intero quadro dell’opinione pubblica mondiale. Sui principali quotidiani internazionali sono sempre più diffusi termini come “rating”, “spread” e “default”. Voci che accompagnano e testimoniano un progressivo peggioramento della situazione economica e che, spesso, non lasciano presagire nulla di buono per lo scenario europeo.


Una crisi che trova la sua origine negli Stati Uniti dell’allora neo-Presidente Barack Obama, esplosa inizialmente nel settore finanziario. Inevitabili le ripercussioni nell’ambito dell’intera economia del Paese, con conseguente consolidamento di fattori preoccupanti tra i quali lo spettro di una crescente disoccupazione.


Il riflesso di questo difficile momento non tarda a materializzarsi in Europa. Il “Vecchio Continente”, divenuto uno dei principali protagonisti di un’economia mondiale sempre più globale e concatenata, viene rapidamente coinvolto in una spirale negativa. Come accaduto anche negli Stati Uniti, la crisi si trasferisce in breve tempo dall’universo dell’alta finanza all’economia reale. Questo comporta un graduale incremento dei tassi di disoccupazione ed un lento scivolamento verso l’incubo della recessione. I Paesi dotati di sistemi economico-finanziari meno solidi, soffrono decisamente di più questa fase di generale difficoltà e divengono oggetto di analisi da parte degli economisti di tutto il mondo. Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia suscitano preoccupazioni in seno ai vertici dell’Unione Europea a causa dell’instabilità dei rispettivi sistemi economici.
Complice anche il delicatissimo momento politico legato allo sgretolamento della maggioranza del governo di Silvio Berlusconi, attualmente è proprio l’Italia a generare la maggiori apprensioni all’interno dell’UE.


La cancelliera tedesca Angela Merkel, ben consapevole delle terribili difficoltà cui andrebbe incontro l’intero contesto europeo nel caso in cui non si riuscisse ad aiutare il nostro Paese a venir fuori da questa delicata situazione, ha più volte richiamato gli altri leader europei ad un senso di responsabilità e solidarietà necessario al fine di consentire all’Unione Europea ed alla moneta unica di sopravvivere.


Il sistema economico tedesco dimostra di essere solido e ben strutturato e la Germania «non può che continuare ad impegnarsi per aiutare Paesi come l’Italia e la Spagna, indipendentemente dai sacrifici che questo impegno possa comportare per il proprio governo». Questo è quanto afferma Kenneth Rogoff, professore di economia presso l’università di Harvard ed esperto sulle tematiche attinenti al debito pubblico. Qualora la Germania riuscisse ad assumere la leadership (non soltanto economica) della cosiddetta “euro zona”, tracciando una linea politica comune per i Paesi che ne fanno parte e definendo una sola politica fiscale, sarebbe immediata e positiva la reazione dei mercati.


È auspicabile dunque evitare lo scivolamento dei Paesi più deboli verso i margini della realtà economica dell’UE. Il rischio potrebbe essere infatti quello della fuoriuscita di questi stessi attori dal sistema della moneta unica. Disastrose sarebbero le conseguenze sulla crescita globale (la c.d. “euro zona” rappresenta più del 20% dell’intera economia globale) ed in termini di fiducia nei confronti del futuro dell’Europa.


Una realtà composta da più di 500 milioni di persone che hanno saputo ricominciare. Che hanno saputo ricostruire un continente dalle ceneri di due guerre mondiali. Che hanno dimostrato di avere la forza di fare molte cose. Prendere in mano il comando delle operazioni in Libia. Spingere gli Stati a rafforzare il proprio impegno per contrastare i cambiamenti climatici. Aiutare gli Stati Uniti d’America a difendere e diffondere i principi di democrazia.


Un’Europa meno forte significa un’America meno forte. Questo non soltanto da un punto di vista economico. La crescita, per quanto importante, non è l’unico dossier aperto. Un eventuale fallimento del progetto europeo rappresenterebbe un duro colpo anche per gli Stati Uniti che non potrebbero più contare sulla coralità del supporto politico che negli ultimi anni è andato consolidandosi al di là dell’oceano.


Cosa fare dunque per cercare di riportare il “Vecchio Continente” nella giusta direzione?


Difficile rispondere a questa domanda. Probabilmente più di ogni altra cosa servono spirito di responsabilità e solidarietà come hanno più volte affermato la Merkel ed il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Adesso come non mai, serve una classe politica sinceramente interessata a quelli che sono i reali problemi del Paese. Una classe politica disposta a fare dei sacrifici, in quanto a privilegi e stile di vita. È necessario che i cittadini capiscano il difficile momento che sta vivendo l’intero contesto europeo ed il nostro Paese in particolare. Sarebbe ancor più necessario però che qualcuno lassù cominci col dare il buon esempio.