Sorrisi alla Pompei: il Console a pranzo

CARACAS – Quando arriva il Console Giovanni Davoli sono baci e abbracci per tutti. Alle 13 e 30 di giovedì 17 novembre, nella Chiesa della comunità italovenezuelana l’emozione è grande, gli occhi umidi vengono un po’ a tutti: è la prima volta che un Console viene a far visita all’istituzione legata alla Missione Cattolica di Caracas.

L’occasione è fornita dal pranzo che l’associazione, insieme al fondamentale aiuto di sei volenterose e simpatiche signore, offre ai connazionali meno fortunati e in alcuni casi indigenti. L’appuntamento è fissato per le 12 ma, per italica convenzione, tutto viene posticipato di un’ora e mezza più in là. Ne approfittiamo per curiosare in cucina. Ai fornelli a preparare le ‘sabrosísimas’ polpette ci sono Maria Coletta, Lidia Guastella, Carmelina De Santis, Francesca Lucherino e Neri Ortiz, più tardi arriverà anche Maria Grande. Le cuoche che ogni giovedì preparano il pasto per i più poveri rappresentano l’Italia da Nord a Sud, mentre Neri si occupa di dare un tocco venezuelano alla ‘comida’. Tra di loro l’affiatamento è grande, anche in senso culinario: i rigatoni all’amatriciana e la cipollata che ne vengono fuori hanno quel sapore casereccio che lascia sempre soddisfatti.


Il pranzo del ‘jueves’ nacque 5 anni fa da un’idea di padre Sergio, ora in Italia perché gravemente malato, e della sua collaboratrice Nicole. Con il tempo la tradizione è stata mantenuta da Padre Zelindo, adesso a Valencia, e dal veneto Padre Pio, attuale parroco della Pompei. A rendere possibile l’esistenza di questo momento di solidarietà, compagnia e socializzazione sono i contributi provenienti dalle donazioni ecclesiastiche, dal Consolato e dalle offerte dei semplici cittadini. “Sono anni che vengo il giovedì a cucinare -racconta la signora Coletta-, all’inizio accoglievamo fino a 200 persone, c’erano anche molti venezuelani, ma adesso i fondi sono sempre meno ed ospitiamo al massimo 50 persone”. E in effetti giovedì scorso al momento di entrare in mensa si potevano contare un totale di 40 persone circa, includendo nella cifra anche gli organizzatori. Un peccato, vista la bontà dell’evento.


Ci sediamo a tavola e subito abbiamo l’occasione di conoscere il divertentissimo Alessandro, autentico animatore della giornata. Originario del comune casertano di Santa Maria a Vico, Alessandro è arrivato in Venezuela nel 1958, all’epoca di Pérez Jiménez, ed è stato per anni calzolaio e poi commesso in un negozio di scarpe. Adesso ha 76 anni e vive nel quartiere de La Carlota. “Devo pagare le medicine, ogni mese c’è l’affitto che arriva puntuale -racconta con il forte accento campano orgogliosamente custodito-, e la pensione basta e non basta, come faccio?”. Nonostante le difficoltà Alessandro non ha perso il sorriso, e la voglia di scherzare è quella di un tempo, soprattutto con le donne. La signora Veneranda è nata 80 anni fa a Rodi, in Grecia, da padre salernitano. È alla Pompei da molti anni ed ha sempre offerto il suo aiuto nell’organizzazione dei pasti. Ad Alessandro la lega l’allegria travolgente: insieme mettono in scena uno show continuo di battute e risate. Veneranda avverte l’emozione della visita del Console, di cui rivendica l’operato: “È la prima volta che un Console viene a mangiare in mezzo al popolo, e si informa sulla povera gente”, afferma gioiosa. La sua felicità aumenta in modo vertiginoso quando Davoli fa il suo ingresso in mensa. Tutti i commensali vogliono abbracciarlo e parlare con lui, il Console ricambia i gesti d’affetto. “Mi sento partecipe dei problemi dei fratelli e delle sorelle connazionali in difficoltà -confessa Davoli a La Voce-. Non voglio far mancare loro il mio appoggio morale e la vicinanza delle istituzioni che rappresento”.


Anche Italo, giunto a Caracas dall’Irpinia, è contento della visita consolare e ne approfitta per rivolgere un appello affinché tramite le istituzioni sia possibile reperire le costose vitamine di cui lui, come tanti altri italovenezuelani, ha necessità: “Prima il ‘seguro social’ le dava gratis però adesso non è facile conseguirle, ed io ne ho bisogno per rinforzare la cartilagine e a causa della bronchite cronica che mi affligge”. Italo, che per 20 anni ha lavorato nella fabbrica ‘Tiquire Flores’, è stato colpito dalla malattia nel periodo successivo alla perdita di 200.000 dollari alla borsa di Caracas. I problemi sono all’ordine del giorno. “Vivevo ‘a media cuadra’ da Miraflores -confessa-, e poco tempo fa volevano sfrattarmi dalla casa dove pago regolarmente l’affitto. La pensione è bassa e, trovandomi senza assicurazione medica, devo ricorrere ai CDI”. Le stesse difficoltà le vivono quotidianamente Vincenzo, in affitto in un appartamento a Caraballeda, e Nicola, emigrato da Teggiano (Salerno), che dopo aver posseduto una fabbrica di scarpe, è caduto in disgrazia per colpa dei debiti contratti dal socio scommettitore alle corse di cavalli. Adesso si ritrova a vivere nel settore popolare di La Vega.

A servire i pasti c’è Giuseppe che vive in un ‘rancho’ nel pericoloso quartiere di Filas De Mariche. Partito da Napoli nel 1955 per lavorare in Venezuela con ‘pico y pala’, iniziò a soffrire di attacchi epilettici. Arrivarono momenti difficili e il sostegno della Pompei fu importantissimo per superarli: “Da quaranta anni collaboro con l’istituzione che, insieme al Consolato, mi garantisce i fondi necessari per comprare i farmaci necessari e pagare le cure nelle cliniche private”.


Un sostegno e un impegno rivendicati dallo stesso Davoli: “Da quando sono qui abbiamo già assistito 1300 persone in tutto il Paese, un numero mai visto -dichiara soddisfatto-. Gli accordi sottoscritti con Locatel e Biomed hanno reso più efficace l’assistenza medica ai meno fortunati cui è stato reso possibile l’accesso alle migliori cliniche”. Il Console ha poi tenuto a sottolineare l’aiuto economico continuo proveniente dalla comunità italovenezuelana, da lui definita “sempre più generosa”.


La foto di rito con tutti gli invitati ha chiuso una giornata in cui il “popolo” di cui parlava Veneranda si è sentito più vicino al “palazzo”, rappresentato dal Consolato, nella speranza che la distanza che separa i meno fortunati dalle istituzioni sia avvertita sempre più come una vicinanza. Una vicinanza fatta di attenzioni, cure e medicine (senza dimenticare le vitamine di Italo) che il Console Giovanni Davoli si è impegnato a non far mai mancare.