Il Governo spagnolo nelle mani di Mariano Rajoy e del partito Popolare

Qualora non fossero bastate le recenti testimonianze provenienti da Roma ed Atene, con la caduta dei governi Berlusconi e Papandreou, a dimostrare l’influenza dell’economia nelle vicende politiche di un Paese, è sufficiente guardare a quanto accaduto nelle elezioni spagnole di domenica scorsa per incontrarne un’ulteriore conferma.


Il ritiro delle proprie truppe dall’Iraq (operato nel giro di poche settimane), il riconoscimento dei matrimoni gay e la possibilità di adozione per le coppie omosessuali, la diminuzione degli episodi di violenza all’interno del Paese e l’apertura di una stagione di pace dopo 40 anni di terrorismo separatista dell’ETA, non sono bastati a proteggere i Socialisti, guidati in questi anni da José Luis Rodriguez Zapatero, dalle conseguenze di una situazione economica decisamente difficile.


La Spagna è dunque pronta a voltare pagina dopo più di 7 anni. Il partito Popolare di Mariano Rajoy ha vinto le elezioni politiche con il 44,55% dei consensi (circa 11 milioni di voti) e 186 seggi su 350 nel Congresso dei deputati. Questo il miglior risultato di sempre per la destra iberica, superiore anche a quello ottenuto da José Maria Aznar nel 2000.


«Governerò senza distinzioni. Nessuno deve sentirsi turbato.» Queste le prime parole del premier in pectore che ha messo immediatamente in primo piano il dossier relativo alla crisi economica: «Siamo davanti ad un momento decisivo per la Spagna. Il nuovo governo dovrà gestire la congiuntura più delicata che il Paese abbia mai conosciuto negli ultimi 30 anni. Abbiamo davanti a noi un compito immenso: non ci saranno miracoli». Intrise di realismo le parole di Rajoy che ha però voluto infondere grande ottimismo nei cuori dei suoi connazionali concludendo così il proprio intervento: «Voglio ridare agli spagnoli l’orgoglio di esserlo. Viva España!».


Mariano Rajoy, 57 “primavere” il prossimo 27 marzo, entra in politica a 26 anni. Nel corso di questi trent’anni è stato presidente della delegazione della provincia di Pontevedra (1983-1986), vicepresidente della Giunta della Galizia (1986-1987), ministro dell’Amministrazione Territoriale, dell’Educazione, dell’Interno, della Presidenza, portavoce e vicepresidente del governo dal 1996 al 2003. Sconfitto nelle due precedenti tornate elettorali e sopravvissuto alle critiche interne al suo stesso partito, Rajoy, grazie alla sua perseveranza ed a causa della congiuntura economica sfavorevole con cui hanno dovuto confrontarsi i socialisti, ha saputo guidare i Popolari ad una vittoria senza precedenti.


Il nuovo premier è riuscito a raggiungere questo importante traguardo nonostante i suoi discorsi siano stati, secondo alcuni accreditati analisti internazionali, deliberatamente vaghi nei contenuti proprio in merito alle proposte necessarie a rivitalizzare un quadro economico caratterizzato da ingenti problematiche.
Il lavoro è senza dubbio la prima emergenza da affrontare. Il tasso di disoccupazione del 21,52% è il più alto in seno all’Unione Europea (5 milioni di disoccupati su 47 milioni di abitanti). I dati risultano essere ancora più allarmanti se si analizza la situazione dei giovani al di sotto dei 30 anni: più del 45% non riesce a trovare un posto di lavoro.


L’economia spagnola è sbilanciata sui servizi con una struttura industriale meno solida rispetto a quella di altri attori europei, quali ad esempio Germania ed Italia. Conseguenza di tale caratteristica è che, nelle fasi di recessione o di crescita scarsa, il tasso di occupazione ha la tendenza a scendere con maggiore rapidità. La storia recente ha dimostrato però che, con altrettanta facilità, è in grado di risalire. Nel 1994 il tasso di disoccupazione in Spagna oscillava intorno al 24%, mentre quello tedesco era sotto il 9%. Nel 2004 i due Paesi erano alla pari. E ancora nel 2007, precedentemente alla stagione della crisi, Spagna e Germania si muovevano intorno all’8,5%. In questi anni quello spagnolo è quasi triplicato, mentre quello tedesco è addirittura sceso. Il nuovo governo ha dunque il compito di puntare ad un rilancio del sistema sostenendo, presumibilmente con agevolazioni fiscali, le imprese che assumono ed intervenendo sulle norme che regolano il mercato del lavoro nel tentativo di mediare tra contratti garantiti e contratti a tempo (talvolta irregolari).


Il debito pubblico è attualmente il secondo grande problema del Paese. Al pari di altri attori europei, la Spagna si è impegnata nei confronti dell’Unione Europea ad intraprendere un percorso di risanamento per poter rientrare nei parametri di Maastricht del 3% di disavanzo (attualmente il deficit è pari al 6% del prodotto interno lordo). L’azione di governo dovrà concentrarsi principalmente sulle regioni autonome che gestiscono un terzo della spesa pubblica nazionale. La questione è molto delicata ed intrisa di contenuti politici perché riguarda i rapporti tra la maggioranza presente a Madrid e le autonomie nazionaliste.
Il delicato momento economico del Paese è testimoniato anche dai dati relativi alla crescita. Da una previsione dell’1,3%, si è passati ad un più modesto 0,8% di incremento del PIL nel corso del 2011. Il Paese pare essere condannato ad entrare in recessione all’inizio del 2012 ed a questo proposito sembra che il nuovo governo stia già pensando ad una fiscalità di emergenza per offrire il proprio supporto alle piccole e medie imprese.


Le difficoltà palesate in questo scenario tanto complesso sembrano non spaventare Mariano Rajoy il quale, nel corso di uno dei suoi interventi radiotelevisivi, ha dichiarato che anche nel contesto europeo la Spagna «smetterà di essere parte del problema per tornare ad essere parte della soluzione».