Saragò, il re Mida della Primera División

CARACAS – Come si fa a trasformare una squadra abituata a navigare nei bassi fondi della classifica in un formidabile gruppo capace di inanellare successi in serie? Quale segreta alchimia simile a quella del ‘Re Mida’, che trasformava tutto ciò che toccava in oro, fa scattare la magica scintilla nei cuori, nelle menti e nei corpi di calciatori che prima lottavano per altri obiettivi? Come si fa a passare dalle sabbie mobili della zona retrocessione alla vetta del campionato? La vita e la carriera di Eduardo Saragò costituiscono una risposta a tutti questi interrogativi. Con il mister tutto è possibile. Nella sua ancor breve carriera è riuscito nell’impresa di convertire Zamora, Deportivo Italia (poi diventato Deportivo Petare) ed infine Deportivo Lara in tre squadre di successo. Una vicenda che sembra rievocare eventi mitologici, in questo caso in ambito sportivo. Saragò nato 29 anni fa a Caracas da padre italiano (originario della provincia di Crotone) e mamma spagnola, è uno dei tecnici più promettenti del calcio venezuelano e sudamericano.


Com’è cambiata la vita di Saragò dopo il trasferimento a Barquisimeto?


“Dal giorno in cui sono arrivato mi sono trovato in un ambiente formidabile. I barquisimetani sono persone molto amabili e cordiali. In questa città sono più tranquillo, ho tutto quello che mi serve vicino. Un’altra cosa che mi rende felice è che non passo più tutte quelle ore in mezzo al traffico di Caracas. Nel caos della capitale perdi molte ore utili, e quello ti genera stress e affaticamento, cosa che non avviene a Barquisimeto dove mi sento più rilassato e posso dedicare più tempo alla squadra, anche grazie all’appoggio del mio amico d’infanzia Massimo Scaccia, anch’egli italo-venezuelano.


In questo periodo nel Lara cosa pensi di aver apportato alla squadra?


“Io sono arrivato a Barquisimeto per lavorare in un progetto di larga durata, per aiutare la squadra a creare le basi solide per diventare un grande club. In ogni squadra che alleno cerco sempre di trovare il lato positivo delle situazioni. Nella mia carriera sono passato dalla lotta in zona retrocessione a quella valevole per l’accesso alla Copa Sudamericana, dal lavoro tra i debiti al successo in campionato e ai match della Libertadores. Senza dimenticare i campionati persi all’ultimo giro di lancette. Tutte situazioni che ti aiutano a crescere a livello professionale”.


La vittoria per 5-1 sul Mineros e la contemporanea sconfitta per 2-1 del Caracas contro il Deportivo Táchira hanno regalato al Lara il titolo di campione del Torneo Apertura.


Tu pensavi di vincere il titolo al primo tentativo?


“Ho lavorato sempre per quell’obiettivo: ottenere il titolo. Che poi arrivi subito o no, non si sa, bisogna giocare le partite e migliorare giorno dopo giorno”.


Dopo il pareggio in casa con l’Aragua e l’1-1 in trasferta coi Tucanes, a cavallo tra la settima e l’ottava giornata di campionato, molti pensavano che il giocattolo si fosse spezzato. Aver perso la vetta della classifica per alcune giornate è stato un duro colpo da digerire.


Dopo i pareggi con l’Aragua e i Tucanes, pensavi che il titolo stesse per sfuggirti di mano?


“I pareggi statisticamente formano parte dei risultati possibili. Il pari è sempre un risultato positivo, tanto è vero che quei due pareggi ci hanno mantenuto in vetta dopo il sorpasso”.


Com’è stata la settimana precedente alla sfida col Mineros?


“Non abbiamo fatto nulla di diverso, noi prepariamo tutte le partite nello stesso modo, con la stessa intensità e motivazione”.


Avresti immaginato un risultato così rotondo per festeggiare il titolo?


“Evidentemente era impossibile immaginare un risultato così, però eravamo convinti che avremmo vinto. Siamo scesi in campo con la convinzione di ottenere i 3 punti in palio. Sapevamo di avere una grossa opportunità per chiudere immediatamente la pratica ‘scudetto’. Contro il Mineros abbiamo avuto le stesse palle gol che contro lo Zulia, ma con i lagunari abbiamo segnato soltanto un gol, mentre col Mineros 5. Il calcio è così”.


Come si diventa vincenti? Come si trasforma una squadra normale in una formazione capace di aggiudicarsi l’Apertura?


“Sono stato fortunato ad avere avuto la possibilità di allenare così tanti fuoriclasse, di condividerne i progetti e le strategie fino a raggiungere un obiettivo comune”.


L’emozione che hai provato dopo il triplice fischio con il Mineros?


“Fortissima, al termine della gara ho abbracciato mia madre ed ho iniziato a piangere insieme a lei. Non riuscivo a trattenere le lacrime. Mi dispiace per l’assenza di mio padre che non ha potuto assistere all’incontro. A lui ho dedicato la vittoria”.


Chi è stato il protagonista della squadra?


“Io credo che non c’è stato un giocatore chiave. Tutti hanno apportato il loro granellino di sabbia utile ad ottenere il successo finale. Ogni atleta ha lavorato duro in campo e fuori dal campo con un unico obbiettivo: vincere il titolo”.


Alle spalle di questa macchina perfetta chiamata Deportivo Lara sono rimaste le più blasonate Caracas, Deportivo Táchira e Mineros. E pensare che solo tre anni fa il Lara non era nemmeno tra le squadre iscritte alla Primera División!


Come ha visto la squadra in questa prima fase del campionato?


“Sono state 16 giornate dove abbiamo vinto 11 gare e ottenuto 5 pareggi, penso che siamo stati la migliore squadra del torneo, abbiamo realizzatto più gol di tutti e siamo stati la miglior difesa. Basta ciò per far capire che il primo posto è meritato”.


Per affrontare il Torneo Clausura, il Deportivo Lara dovrà intervenire sul mercato?


“Considero che una squadra va sempre rinforzata independentemente dal fatto se vinca o meno. Bisogna sempre avere giocatori che ti possano aiutare a mantenere il ritmo del campionato. In questo modo puoi amministrare la forza in ogni repartodel campo”.


Cosa ricordi dell’esperienzia con l’under 20 del Civ?


“Lì la pressione del pubblico era più forte di quella di una squadra di Primera División. Nella rosa avevo un gruppo di giocatori molto bravi che si impegnavano in tutti gli allenamenti per essere sempre migliori”.


Eduardò Saragò esordisce in Primera División nel 2007 con il Zamora. Il ragazzo di origini calabresi dopo pochi mesi ha già plasmato i suoi: la squadra è una rullo compressore che risale dalle zone basse della classifica fino al quinto posto. Una devastante macchina da gol. Granitica in ogni reparto. Robusta e fantasiosa. Con lui come ‘entrenador’, autentico re Mida del calcio venezuelano, i tifosi dello Zamora iniziano a sognare.


Raccontaci del tuo periodo allo Zamora.


“Quella è stata la mia prima esperienza come allenatore in Primera División. Una delle cose che mi piaceva era vedere la gente che usciva dal lavoro e veniva allo stadio a vedere le partite. Mi ricordo che alla Carolina venivano sempre circa 5 mila spettatori a guardare le partite, senza contare i seguitissimi ‘clásicos’ col Deportivo Táchira. Poi con la qualificazione alla coppe internazionali è aumentata la passione per il club. Tra le cose che non mi sono piaciute lo scarso impegno da parte della società”.


E al Deportivo Italia, poi Deportivo Petare, com’è andata?


“E’ stato bello perche abbiamo partecipato alla Coppa Libertadores, giocando a viso aperto con alcune delle grandi del Sud America. Il motivo per cui ho deciso di andarmene è stato che quando sono arrivato mi è stato presentato un progetto futuro con idee meravigliose, ma poi la società non ha mantenuto le promesse”.
Quali allenatori ammira?


“Chita Sanvicente è stato il mio allenatore per tre anni, lui mi ha fatto esordire con il Caracas in Primera División. Poi sono stato suo assistente e con lui, ad appena 22 anni, ho visto come era l’ambiente in Coppa Libertadores. Gli sarò sempre grato. Ma io non ho un tecnico preferito, sono uno cui piace guardare i pregi ed i difetti di tutti per imparare dagli altri senza commetterne gli stessi errori”.


Pensi che l’età sia un limite?


“Assolutamente no, essere giovane non vuol dire che non puoi essere bravo o avere l’esperienza per essere bravo. I giovani possono apportare molte cose buone allo sport e al calcio”.


Sogni di sedere un giorno sulla panchina della vinotinto?


“Non è un segreto che lavoro per diventare un giorno allenatore della nazionale. Voglio rappresentare il mio Paese all’estero. Dopo la mia famiglia viene il calcio”.


Re Mida o meno, noi ci auguriamo che il mister un giorno possa allenare la Vinotinto, nazionale in continua ascesa, che con lui potrebbe ottenere ottimi risultati…d’oro ovviamente. Prosegua così profe Saragò, “suerte” con il Clausura.