I venezuelani del Concordia: “I veri eroi sono i camerieri filippini”

CARACAS – Una esperienza terrificante, acutizzata dalla negligenza delle alte cariche dell’equipaggio. Così i venezolani sopravvissuti al naufragio del Costa Concordia raccontano la notte in cui la nave da crociera si schiantò contro gli scogli dell’Isola del Giglio.


Isabel Rada, professoressa e ricercatrice dell’Istituto di Scienze penali e criminalistiche dell’Università di Carabobo in viaggio con un’altra venezuelana, Egly Cabrera, di quella notte “terribile e dolorosa” ricorda come all’ora di cena i piatti iniziarono a cadere e nella grande sala si sentì un gran rumore. La nave iniziò a tremare, tutto improvvisamente divenne buio mentre dagli altoparlanti l’equipaggio informava i passeggeri di un guasto nel sistema elettrico.


– Non ci hanno mai detto quello che stava davvero succedendo – spiega a Globovision Edgar Rios, valenciano che viaggiava con la madre e il compagno di questa -. Tutti decisero di scendere al terzo piano dove c’erano i gommoni d’emergenza ma nessuno sapeva che ci eravamo scontrati con le rocce.


Versione confermata da un’altra venezuelana sopravvissuta alla tragedia del Costa Concordia, Karina Gómez Pernas, che da parte sua sottolinea come l’equipaggio fosse assolutamente impreparato dinanzi alla tragedia.
– Il processo di evacuazione è stato un vero caos. Io e la mia famiglia – ricorda – abbiamo dovuto aspettare fino al quinto gommone e siamo stati costretti a lanciarcisi sopra dalla nave per salvarci.


Rios, riscattato da un elicottero dopo 5 ore e mezzo da incubo, ricorda quei momenti con rabbia.
– ‘Tirate fuori i gommoni’ s’iniziò a gridare invano, ognuno nella sua lingua. L’autorizzazione arrivò tardi e per l’abbordaggio dovemmo aspettare un’eternità. In più l’ignoranza dell’equipaggio era tanta che non sapevano neppure gonfiare i gommoni d’emergenza. In Venezuela – denuncia Rios, due figli e uno in arrivo – nonostante tutti i problemi che abbiamo c’è un po’ più di coordinamento al momento di una qualsiasi emergenza.


Karina afferma che “le istruzioni date dall’equipaggio della nave erano soprattutto in italiano e in inglese” e che “la comunità di lingua spagnola restò totalmente senza assistenza”. Da parte sua, Isabel Rada sottolinea che nessuno si occupò di fornire volantini informativi per i casi di emergenza o di dare istruzioni sul come comportarsi in caso di evacuazione della nave.


– I veri eroi di questa tragedia sono i camerieri filippini – spiega la margariteña al Carabobeño – che si sono sacrificati per salvarci aiutandoci a raggiungere i gommoni. Abbiamo avuto la fortuna di salire su uno di questi nel bel mezzo del caos totale, aiutati dai filippini che non ci capivano perché non parlavano né italiano né spagnolo. Ma è stato duro vedere tanti feriti e la gente disperata che si buttava in mare senza pensare alle basse temperature dell’acqua di questi giorni invernali. In tutto questo chi di dovere si è nascosto. Il capitano non ci ha mai messo la faccia e neppure parlò attraverso gli altoparlanti, anche se le comunicazioni facevano il suo nome. Se non fosse stato per l’equipaggio del Costa Concordi – dichiara – ci sarebbero stati molti più morti.


Oltre ai filippini, i sopravvissuti venezuelani ricordano con gratitudine gli italiani dell’Isola del Giglio che si sono fatti in quattro per aiutare i naufraghi che a frotte arrivavano sulle loro coste.


– In questa ‘isola degli angeli’ – come la chiama Isabel Rada – la gente ci lanciava lenzuola e coperte, perfino gli abiti dei sacerdoti della chiesa, perché ci potessimo coprire. Hanno aperto le farmacie solo per noi, curato i feriti meno gravi, addirittura spalancato le porte di un caffé per farci riscaldare, perché la temperatura era di 5 o 6 gradi.


Ma i sopravvissuti del Concordia, spiega Isabel, cercavano per le strade e i locali aperti i loro cari. Una ricerca che, purtoppo, non per tutti si è conclusa con un abbraccio.