Piero e Choroní: quando l’integrazione è a base di pesce

PUERTO COLOMBIA/CHORONÍ – Arrivare a Choroní alla vigilia di capodanno costituisce un’autentica immersione in un tripudio ‘criollo’ di suoni, odori e colori. Auto che sprigionano gas e musica a tutto volume sul piccolo ‘malecón’ brulicante di gente di ogni età, in fermento per l’arrivo del nuovo anno. I manichini dalle forme estremamente pronunciate, con bikini che a malapena riescono a trattenere cotanta prosperosità. ‘Areperas’ e chioschetti che vendono le caratteristiche ‘empanadas al cazón’. Le immancabili liquorerie, con le ‘cervezas’ che spariscono in un baleno, quasi per magia. I petardi che esplodono un po’ ovunque. Le mongolfiere di carta che volano illuminando la notte stellata. I ‘tambores’ che vanno risuonando per le strade, in un crescendo continuo che accompagna il sopraggiungere della mezzanotte.

Un’atmosfera sorprendentemente seducente.

Per il visitatore poco amante degli eccessi e in cerca di un posticino meno caotico, il problema non si pone: più appartato e fuori dall’allegro finimondo del lungomare si trova La Perla del Pirata. Tranquillo, riservato ed elegantemente a suo agio tra la vegetazione locale, La Perla è un ristorante italiano che, nel contesto del ‘pueblito’ araguense, offre una cucina sana, innovativa ed orientata alla stuzzicante integrazione dei sapori italiani e venezuelani. L’invenzione dell’arepizza, più di tutte, stimola la curiosità del cliente.

Il ‘dueño’ si chiama Piero Albanito, 42 anni, romano di nascita. In fuga dallo stress metropolitano, Piero è giunto a Choroní “per sbaglio” dopo aver perso un volo in partenza da Maiquetía. “Un amico residente a Maracay – ci racconta – è venuto a prendermi all’aeroporto e mi ha accompagnato a Choroní. L’incantevole paesaggio naturale ha fatto il resto. È stato amore a prima vista”.

Piero, tifoso sfegatato della Lazio (nel ristorante c’è pure la sciarpetta), ha lasciato la città eterna e la professione di architetto per comprare casa Uchi, una graziosa villetta in stile neocoloniale all’entrata di Puerto Colombia. L’ha restaurata, ammodernata e adibita a ristorante per pochi intimi: 7, 8 tavoli e il bancone per degustare i cocktails.

In affitto per un biennio, sotto un’altra gestione, il locale è decollato nel marzo 2011, quando, in pieno carnevale, Piero ha finalmente deciso di prenderne le redini. L’esperienza maturata in Italia, nel ristorante della madre, ha fatto sì che i sapori mediterranei elaborati dal cuoco laziale approdassero con successo nel paesino caraibico.

L’inventiva personale ha poi reso ancor più allettante un menù ricco di piatti a base di pesce e carne, senza dimenticare i deliziosi antipasti, contorni e dolci fatti in casa.

‘Dorado’ al chutney di parchita, pargo con crema di peperoni e paté di olive, limoni ripieni di tonno, pollo ai funghi combinato con formaggio di capra, insieme alle più tradizionali bruschette, alla carbonara, al ‘lomito’ e alle torte elaborate con l’inimitabile cacao di Chuao rappresentano autentiche godurie per il palato. La pasta del pirata e alla Jack Sparrow sono le sorprese che non devono mai mancare.

Il pesce, di notte pietanza dominante de La Perla del Pirata, di giorno si trasforma in trait d’union tra il padrone del ristorante e la comunità dei pescatori di Choroní. È il pesce che dà la misura dell’integrazione tra l’emigrato italiano e l’autoctono venezuelano: “Con i pescatori locali – racconta Piero – c’è grande collaborazione, ogni giorno compro da loro e quando pescano qualcosa di pregiato, per esempio un mero, mi avvisano immediatamente”.

Una storia di integrazione a base di pesce, forse è questa la lezione più bella che la vicenda di Piero Albanito, romano finito per errore a Choroní, può impartire a tutti noi.