La Cina ed il paradosso della crescita

CARACAS – Soltanto venti anni fa, la Cina era ben lontana dall’essere la grande potenza globale che si muove oggigiorno sullo scacchiere mondiale.


Ancora vivo è il ricordo delle proteste di piazza Tiananmen, teatro del massacro del 1989. La condanna pressoché unanime proveniente dalla Comunità Internazionale ebbe la naturale conseguenza di inaugurare una stagione di profondo isolazionismo che, soltanto pochi anni dopo e più precisamente a partire dal 1992, Deng Xiaoping, decise di contrastare attraverso una serie di importanti riforme. I connotati di una Cina moderna iniziarono dunque a palesarsi attraverso il graduale superamento degli allarmanti livelli di inefficienza delle imprese statali ed altresì grazie alla progressiva introduzione di rivoluzionari meccanismi meritocratici.


Il concetto chiave che fece da sfondo alle scelte operate dal leader cinese era nella sostanza sorprendentemente semplice: in assenza di una apprezzabile crescita economica, il destino del partito comunista sarebbe stato segnato, così come del resto era già avvenuto in Unione Sovietica e nei Paesi dell’Europa Orientale. Un’idea tanto banale quanto ambiziosa: colmare il senso di vuoto lasciato da un’ideologia agonizzante con la realizzazione di uno storico sviluppo del Paese, con il preciso scopo di legittimare il potere politico del partito ed al fine di garantirne l’auspicata sopravvivenza.


La combinazione di elementi quali il controllo politico e la riforma del mercato ha senza dubbio prodotto una serie di benefici enormi per il Paese. La crescita dell’economia cinese nel corso degli ultimi due decenni, in virtù di tassi che hanno costantemente superato la soglia del 10% annuo, non ha eguali nella storia.


Nonostante l’indiscutibile straordinarietà di questi dati, il cammino per il “Gigante asiatico” deve necessariamente evolvere verso una nuova direzione. La Cina ed il mondo intero stanno cambiando rapidamente. Continuare a sostenere un tale sviluppo, al fine di garantirne una solida continuità, significa inevitabilmente dover spostare in secondo piano investimenti esteri ed esportazioni, privilegiando un incremento del mercato interno. Questo passaggio, tanto delicato quanto indispensabile, ruota attorno ad una più equa distribuzione della ricchezza che continua a confluire nelle casse del Paese. Una definitiva liberalizzazione del sistema finanziario, tra le altre cose, avrebbe l’immediata conseguenza di offrire ai consumatori cinesi un maggiore potere d’acquisto ed una più elevata capacità di accumulare risparmi. Una transizione che avrebbe un’influenza positiva anche sullo stato d’animo di tutti quei lavoratori che continuano a sentirsi in qualche modo estromessi dallo straordinario momento economico.


L’eco della “primavera araba” in Cina è un elemento che la classe dirigente non può e non deve sottovalutare. La popolazione che dalle campagne è emigrata verso i grandi centri urbani continua ad essere percepita come una fascia di persone di “seconda classe”, che, in buona sostanza, non gode di alcun accesso al sistema sanitario, scolastico e pensionistico. Gli ufficiali locali che, grazie ad un quadro legislativo discutibile, prendono possesso di proprietà e terreni a proprio piacimento alimentano un forte senso di risentimento nei cittadini. L’assenza di un moderno sistema di supervisione sul fenomeno dell’industrializzazione comporta un progressivo degrado non soltanto di natura ambientale, ma altresì nell’animo di tutti coloro che iniziano a percepire, loro malgrado, tutti gli effetti negativi di una crescita evidentemente fuori controllo. L’avanzare della corruzione rappresenta infine un ulteriore fattore di considerevole instabilità. Un ventaglio di elementi che, uniti alla possibilità senza precedenti di poter comunicare personalmente ed attraverso l’utilizzo di internet, fomenta una rabbia potenzialmente pericolosa per l’intero sistema.


Il suo passato sanguinario ha insegnato alla Cina, ed in particolare al partito comunista, di dover temere più di qualsiasi altra cosa il caos ed il disordine interno. Un incredibile paradosso dunque: la formula che ha consentito al Paese di realizzare dei risultati tanto ragguardevoli deve essere accantonata al più presto. La questione va ben oltre il semplice interesse intellettuale. Tali vicende non sono destinate infatti ad influenzare esclusivamente il futuro del “Colosso cinese”, ma, inevitabilmente, quello del mondo intero.