Porta: “Meno eletti all’estero? Meglio una riforma del voto”

CARACAS – Tagli alla politica = riduzione del numero dei parlamentari: questa l’equivalenza stabilita dalla bozza di riforma costituzionale messa a punto dai tecnici Luciano Violante (Pd), Gaetano Quagliariello (Pdl), Ferdinando Adornano (Udc), Italo Bocchino (Fli) e Pino Pisicchio (Api). Alla Camera corrisponderebbe un taglio di 122 deputati, per cui si passerebbe da 630 a 508, mentre al Senato si assisterebbe a una decurtazione di 61 senatori, che da 315 scenderebbero a 254. In sostanza una riduzione del 20%.
E gli eletti all’estero? Qui, a conti fatti, la percentuale dei tagli salirebbe al 33,3 %, con un parlamentare in meno per ogni 3 eletti fuori dall’Italia: dei 12 deputati attualmente in Parlamento ne rimarrebbero 8, dei 6 senatori solo 4, uno per ogni circoscrizione estera.
Una misura che non trova d’accordo l’onorevole Fabio Porta per cui, è conveniente il punto della riforma che “ha l’obiettivo di differenziare le funzioni tra le due camere”, è opportuno diminuire il numero generale dei parlamentari, “troppi rispetto alle esigenze del popolo italiano”, ma è inappropriato operare lo stesso provvedimento nei confronti di chi è stato votato per rappresentare le comunità italiane oltre confine: “È una scelta completamente sbagliata, si continuano a sottostimare e penalizzare i 5 milioni di connazionali emigrati”.
Effettivamente 12 rappresentanti sono pochi per una collettività così cospicua, due o al massimo tre esponenti costituiscono una quantità troppo esigua, per non dire irrisoria, per proiettare in parlamento le necessità di uno o più continenti, come nel caso della circoscrizione Asia, Africa, Oceania e Antartide.
-Meglio costruire una politica più efficiente – l’alternativa suggerita dal deputato eletto tra le file del Pd -, che eviti sprechi e spese inutili, questo è ciò che si aspettano i cittadini. Comunque – prosegue – la discussione è ancora in atto, per cui nulla è certo, nemmeno la conferma delle circoscrizioni estere.
Attenendoci al contenuto della bozza non è tanto azzardato fare un’ipotesi sui tagli, circoscrizione per circoscrizione: “Se si continua con la distribuzione che prevede le 4 ripartizioni: America Meridionale, America Settentrionale e Centrale, Europa e infine Africa, Asia, Oceania e Antartide, è probabile che ognuna di queste abbia un senatore. Mentre alla Camera i deputati del Sud America dovrebbero scendere da 3 a 2, quelli dell’Europa da 6 a 3, rimarrebbe invece invariato il numero degli eletti in America Settentrionale (2) e in Africa (1)”.
Accantonando la fantapolitica, secondo Porta ciò che occorre veramente è “una riforma del sistema di voto all’estero che conferisca più credibilità e affidabilità a chi viene eletto e che ponga un argine ai brogli occorsi in passato in Venezuela e in Argentina”. Nell’ottica di “mantenere i legami tra l’Italia e i suoi emigrati è necessario che venga ribadita la conquista del voto sia nella sua forma attiva che in quella passiva”. Ossia del voto a prescindere dal numero degli effettivi votanti: sempre troppo pochi, a giudicare dall’ultimo referendum.
In chiusura un accenno di critica/autocritica con l’invito dell’onorevole residente in Brasile a “interrogarci, io per primo, sul ruolo di noi parlamentari scelti all’estero: che cosa abbiamo fatto per chi ci ha votato? Quante e quali interrogazioni parlamentari abbiamo rivolto al Governo? Che valutazione possiamo darci?”.
Il tempo delle valutazioni arriverà presto. Basterà attendere le prossime elezioni: se l’affluenza alle urne subirà un aumento significativo i nostri parlamentari avranno raggiunto lo scopo di interpretare al meglio i bisogni degli emigrati, avvicinandoli alle istituzioni della madrepatria, in caso contrario il giudizio sarà negativo e un cambio del sistema di voto quantomeno necessario.
Giovanni Di Raimondo

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