Lavoro, Fornero: «Questa sarà una settimana decisiva»

ROMA – L’obiettivo del governo è quello di arrivare a una riduzione strutturale stabile dei livelli di disoccupazione e portare il tasso al 4-5%. E’ stato il ministro del Lavoro Elsa Fornero, a quanto si apprende, a dare l’indicazione alle parti sociali aprendo l’incontro tra governo e parti sociali.
Al centro del tavolo la riforma degli ammortizzatori sociali. Per i sindacati siedono i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, mentre Confindustria è rappresentata dal presidente di viale dell’Astronomia Emma Marcegaglia.
Fornero, a quanto si apprende, ha spiegato la proposta del governo relativamente al capitolo delle tipologie contrattuali di ingresso sul mercato: nessun contratto unico ma un “contratto dominante” che privilegi la forma di ingresso dell’apprendistato a tempo indeterminato. Per quello che riguarda invece il contratto a tempo determinato, il ministro avrebbe ribadito alle parti sociali che questa forma contrattuale “dovrà costare un po’ di più”.
Fornero dà anche il timing del confronto. Secondo il ministro questa è la settimana decisiva per la definizione dell’accordo. Insieme al premier Monti, infatti, Fornero intenderebbe chiudere la partita tra il 21 e il 23 marzo.
– Il governo ha sempre lavorato per l’accordo con le parti sociali – ha spiegato secondo quanto trapelato -. Per questa prospettiva lavoriamo in questa ultima fase.
Quanto alla riforma degli ammortizzatori sociali, questa sarà avviata nel 2012 e andrà a regime nel 2015. Sarà dunque ‘accorciato’ il periodo di transizione della riforma e del cambio di sistema degli ammortizzatori. La riforma “sarà incentrata sulla nascita della assicurazione sociale per l’impiego”: così il ministro ha spiegato, a quanto si apprende, la nuova “forma di tutela e di sostegno al reimpiego”.
L’intervento del governo resterà, avrebbe garantito Fornero, “al di fuori dei capitoli di spesa sociale”. Mentre la cassa integrazione straordinaria non scomparirà; sarà però eliminata la causale per cessazione di attività.
Secondo quanto riportato da un tweet della Cgil, Fornero ha detto alle parti sociali:
– Non so dirvi dove saranno trovate le risorse, il Governo è impegnato a cercarle.
Il dato certo, secondo il ministro, è che “non saranno sottratte ad altri capitoli di welfare”.
– Stiamo facendo passi avanti su cui si può costruire un’intesa. Ma ci sono ancora alcuni aspetti da correggere – ha commentato il leader Cisl Raffaele Bonanni a proposito della trattativa in corso con il governo. Bonanni ha sottolineato anche che “all’accordo separato non è interessato nessuno, né il governo né le parti sociali”.
– Io penso – ha osservato da parte sua il segretario generale Uil Luigi Angeletti – che quando si concluderà la trattativa presumibilmente questa settimana per molte persone ci sarà una delusione se avevano alte aspettative. Si accorgeranno che le nuove regole del mercato del lavoro non avranno nulla di rivoluzionario.

Il ‘modello tedesco’: ammortizzatori a carico di imprese e dipendenti
ROMA – Una disoccupazione giovanile all’8%, contro il 22% della media europea, il 23% della Francia e il 29% circa dell’Italia. Basterebbe questo dato a fare della Germania un modello da imitare nel mondo del lavoro. E di questo infatti, con sfumature più o meno accentuate, si parla anche al tavolo della riforma del mercato del lavoro, dove ‘il modello tedesco’ viene spesso evocato per l’occupazione, e anche per il welfare, ossia per il sistema delle protezioni sociali, perché metterebbe d’accordo impresa e lavoratore.
Ma cosa prevede in buona sostanza il ‘modello tedesco’? Il sistema assicurativo contro la disoccupazione, nel Paese guidato da Angela Merkel, è obbligatorio per tutti i lavoratori subordinati che siano impiegati per almeno 18 ore settimanali e che percepiscano una retribuzione superiore a una soglia prestabilita. La cassa integrazione viene finanziata dunque dalla contribuzione sociale pari al 6,5% circa delle retribuzioni lorde, ripartito equamente tra datori e lavoratori.
L’erogazione dell’indennità di disoccupazione (‘Arbeitslosengeld’) è subordinata a determinati requisiti (come la disponibilità ad accettare un lavoro confacente al proprio patrimonio professionale e una ricerca attiva di un’occupazione). L’entità del sussidio è calcolata sulla media delle retribuzioni dell’ultimo anno di servizio; la durata della prestazione, variabile tra i 6 e i 32 mesi, dipende dall’età e dall’anzianità contributiva del beneficiario.
Presente anche un sistema assistenziale, a carico della fiscalità generale, che prevede l’erogazione di un sussidio di disoccupazione (‘Arbeitlosenhilfe’) in favore dei lavoratori che hanno percepito l’indennità di disoccupazione, ma che alla cessazione del sussidio sono ancora disoccupati. Questo sussidio di disoccupazione è molto similie alla nostra ‘indennità di mobilità’, ma ha requisiti meno severi per essere concesso. A queste forme di sostegno del reddito si aggiunge una terza forma di sussidio (‘Sozialhilfe’), erogato a coloro che non rientrano nei due campi precedenti.
Ma del modello tedesco si parla anche e soprattutto sulla questione della disciplina dei licenziamenti, in Italia ricondotta al famoso art.18 dello Statuto dei lavoratori. In Germania non c’è un obbligo di legge prestabilito di reintegro del lavoratore dopo un licenziamento anche ingiusto. Ma il giudice ha la facoltà di stabilire o il reintegro sul posto di lavoro o una maggiore indennità per la perdita di posto di lavoro. Tuttavia, il datore di lavoro, spiegandone le ragioni, può rifiutarsi di ridare il posto al lavoratore. In questo caso, deve risarcire il lavoratore con un’indennità che va da 12 a 18 mensilità in base all’anzianità di lavoro. Il giudice può stabilire anche una quota aggiuntiva, sulla base dell’età e del nucleo familiare.
Questa ipotesi sarebbe più gradita a Confindustria e meno ai sindacati.
– In questo caso i ricorsi per l’art.18 varrebbero solo per le discriminazioni e di fatto il lavoratore dovrebbe in qualche modo ‘rinunciare’ a fare causa. Una cosa difficile da attuare – dice Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil -. Il modello tedesco efficace in Germania -dice ancora Loy- qui rimane molto teorico. La prima vera differenza da registrare è che in Germania c’è una presa in carico reale del disoccupato o del lavoratore che rischia di diventarlo, e ci sono percorsi virtuosi di formazione-lavoro che garantiscono il reimpiego.
Ma c’è dell’altro:
– Da noi c’è poca offerta di lavoro soprattutto al Sud, tant’è vero che ci sono stati anche fenomeni distorsivi dell’uso dei sussidi. E poi -conclude Loy- occorre superare anche nel mercato del lavoro il familismo, le raccomandazioni e occorre superare e bilanciare la non convenienza di assumere un disoccupato 50enne rispetto a un giovane.

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