‘Obsoleto e non stimolante’. I direttori del personale bocciano il ‘lei’ in azienda

Roma – ‘Diamoci del tu’. Una frase sempre più in voga negli ambienti di lavoro, dove si predilige instaurare rapporti informali, travalicando un po’, sul modello anglosassone che non prevede la forma del ‘lei’, la linea di confine che separa stageur da dirigenti, impiegati da responsabili, senior da junior, direttori da neo-assunti. Un abbattimento delle barriere che le aziende più innovative hanno reso anche fisicamente, attraverso open-space e introduzione di sempre più spazi comuni.
La questione ‘lei o tu?’ è tornata d’attualità con ‘Dal detersivo alla Ferrari’, il volume di Antonio Ghini, ex direttore comunicazione Ferrari, appena pubblicato da Egea, la casa editrice della Bocconi. Ghini ha dedicato al tema il paragrafo ‘Non dare del tu’, titolo che esprime chiaramente la visione dell’autore, che sia espressione di bon ton o delle ‘distanze’ da mantenere.
“Il ritorno al ‘lei’ può significare, se non autoritarismo, sicuramente il ricostituirsi di una forte struttura gerarchica dal punto di vista sociale, oltre che professionale”, commenta Paolo Citterio, presidente e fondatore dell’Associazione direttori risorse umane Gidp/Hrda (Gruppo intersettoriale direttori del personale – Human resources director association), spiegando che la formula del ‘lei’ in ufficio, più che una questione di bon-ton, è “un modello obsoleto, forse di carattere asburgico”.
E, nel ribadire il suo deciso ‘no’ al ritorno del ‘lei’, Citterio afferma:
“Stiamo andando verso un’epoca nella quale dobbiamo essere uniti per superare il difficilissimo momento, ci mancherebbe altro; guai a prendere le distanze. Inoltre, il linguaggio informale – sottolinea Citterio – aiuta a migliorare i rapporti tra colleghi. Si tornerebbe ai tempi della burocrazia e – aggiunge – del cavalierato, con la conseguenza di creare distanze incolmabili.
L’azienda, invece, “deve spingere i lavoratori a partecipare e suggerire, altrimenti rischia che i dipendenti – conclude Citterio – si facciano coinvolgere il meno possibile dagli obiettivi aziendali”.

Ma Antonio Ghini ribadisce:
“In un mondo, e particolarmente in un Paese, che tende ad appiattire verso il basso principi che stanno alla base del lavoro e dove la demotivazione rischia di prendere il posto dell’entusiasmo, il ‘tu’ indiscriminato in azienda è un implicito invito alla riduzione del ruolo dei valori”.
E a Paolo Citterio, che ha definito la formula del ‘lei’ “un modello obsoleto che crea forte gerarchia”, Ghini risponde:
“Il lavoro, e oggi ben più di prima, è cosa molto seria e importante. Il rapporto in azienda – continua – può essere assolutamente amichevole e non gerarchizzato anche dandosi del ‘lei’. Al contrario, quando è il momento di un incarico, un richiamo, ma soprattutto una lode, il ‘lei’ – afferma Ghini – diventa importante. Importante perché – spiega – obbliga ad essere concentrati, perché rende più efficace il richiamo, perché rende autentico premio la lode. Mi sorprende – aggiunge – che chi si occupa di risorse umane non colga questi aspetti profondi e creda che sia sufficiente il ‘tu’ per fare buon clima. Errore: il ‘tu’, nel caso di malumori, diventa strisciante invito a un lassismo che – conclude – nessuno può più permettersi”.
Dare del lei o del tu nei rapporti formali e di lavoro è un problema comune in tutta Europa e non bisogna farsi ingannare dall’assenza di specifiche forme di cortesia dell’inglese moderno: la discriminante c’è lo stesso e passa per l’uso del cognome, con eventuale titolo, o del nome. Così, invece di chiedere “posso darti del tu?”, si chiederà “posso chiamarti per nome?”.

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