La cultura del vino: la Falanghina

Vitigno campano autoctono da tempi  remoti. Molti studiosi individuano  questo vitigno con l’antenato  Falerno bianco, molto lodato da Plinio, che discenderebbe a sua volta da successive modificazioni del termine, “ Falernina” . Il primo vino Falanghina , ovvero la Falernina fu spremuto e bevuto in Campania  al tempo dei Romani, fra Pozzuoli e Cuma, questo vino bianco era chiamato “Falernum Gauranum”, ossia Falerno  del Gauro,  dal nome del monte che sorge  al centro dei Campi Flegrei,  che si distingueva  dal più famoso  vino a bacca rossa “ Falernum  Massicanum “ ovvero  Falerno del  Massico, dal nome del monte  che sorge nei pressi di Mondragone  in provincia di Caserta,  quest’ultimo derivato dal vitigno Aglianico, era noto come il vino preferito dagli Imperatori Romani, ed era celebrato  da Orazio, Virgilio, Plinio e Cicerone.  La Falanghina  coltivata  allora, come adesso, in quasi tutta la Campania che, pur variando di zona in zona, secondo le condizioni climatiche e del terroir, trova il suo migliore habitat nell’area del Falerno del Massico, nell’Isola di Procida, nella zona dei Campi Flegrei, nel Beneventano e nell’Avellinese.  Comunque  a prescindere dalla zona di produzione , il vino ottenuto da uva Falanghina, conserva  sensazioni organolettiche di base inconfondibili facendone  una produzione enologica di grande pregio. La vite si presenta a foglia media, grappolo medio e compatto, con presenza di un’ala corta, acino medio  sferoidale, di colore grigio – giallastro, matura nella seconda metà di settembre.  Generalmente  questo vino  è di colore giallo paglierino molte volte tendente al dorato, profumo fruttato, sensazioni pseudo caloriche e buona morbidezza, piacevole è la persistenza gusto – olfattiva.

La cultura del vino: pratiche di cantina
Le pratiche di cantina sono tutte quelle operazioni che vengono realizzate prima dell’imbottigliamento, in modo che il vino raggiunga un ottimo grado di stabilità e le migliori caratteristiche organolettiche. Le principali operazioni effettuate in cantina sono rappresentate, dai travasi, dalle colmature e dalle scolmature. Con i travasi si sposta il vino da un recipiente ad un altro con lo scopo di separarlo dalle fecce che, se non eliminate potrebbero determinare odori e sapori sgradevoli, favorendo inoltre con lo sviluppo di microorganismi, le malattie del vino. Diversi sono in numero i travasi che si effettuano, secondo se trattasi di vini rossi o bianchi. Per i vini rossi si eseguono dai tre ai quattro travasi durante il primo anno poi sempre meno, per i vini bianchi il numero di travasi è più basso , poiché la quantità di fecce accumulate è inferiore. Le colmature vengono effettuate affinchè le botti siano sempre piene di vino per evitare le ossidazioni e lo sviluppo di microorganismi aerobi che potrebbero causare serie malattie del vino. Il volume del vino all’interno della botte può diminuire per evaporazione, soprattutto nelle zone calde, per contrazione volumetrica a causa del freddo, oppure per assorbimento del liquido da parte delle pareti delle botti. Utili sono in queste situazioni i tappi colmatori che, oltre a regolare il livello del vino e una chiusura ermetica del recipiente, contengono anche piccole quantità dello stesso vino presente nella botte, che passa in questa nel momento in cui il volume del liquido si riduce. In alcuni casi si possono utilizzare anche gas inerti, come l’azoto o anidride carbonica, che vanno a colmare l’eventuale spazio vuoto derivante dal calo di volume. In estate o in zone molto calde, per evitare perdite di prodotto, per aumento di volume, si ricorre all’operazione contraria alla colmatura chiamata scolmatura, che consiste nel togliere una certa quantità di vino dalle botti.
Giuseppe Gaggia