Monti: «Art. 18? vicenda chiusa. Deciderà l’Aula»

ROMA – ‘’Non avevamo alternative: per avere il sì della Cgil avremmo svuotato la riforma e perso il sostegno degli altri’’. Mario Monti, nel corso della lunga giornata che lo ha portato a ‘strappare’ con il sindacato di Susanna Camusso, lo ripete a tutti gli interlocutori, anche i più autorevoli.
– Altre strade – ripete – non c’erano.
Il premier tira dritto anche sul nodo delicatissimo dell’articolo 18: porterà la riforma del lavoro ‘’cruciale per la crescita e l’occupazione’’ in Parlamento senza un’intesa preventiva con le parti sociali. Persuaso di poter convincere i partiti a sostenerlo, nonostante il niet del primo sindacato italiano metta in seria difficoltà il Pd di Pier Luigi Bersani.
Assensi e dissensi, chiarisce il capo del governo, saranno semplicemente ‘’verbalizzati’’. Non ci sarà nessun accordo firmato. A decidere, chiarisce con tono perentorio, sarà il Parlamento, giudice sovrano e unico vero interlocutore dell’Esecutivo. Perchè il dialogo è importante, ma è venuto il tempo di mandare in soffitta i ‘’veti’’ di questo o quel sindacato e con essi la ‘’cultura consociativa’’ che scaricava il costo delle intese sulla collettività.
Il premier è ancora più perentorio: sull’articolo 18, quello che non va giù alla Cgil, la partita è ‘’chiusa’’, non ci saranno ulteriori trattative. Monti è convinto di aver fatto il massimo. Lo dice anche a Giorgio Napolitano, nella telefonata ricevuta proprio mentre è davanti ai giornalisti.
– L’ho informato del buone esito della trattativa – scandisce il professore.
Al Quirinale si erano raccomandatati con il governo di fare di tutto per chiudere con l’intesa di tutti. Ma Monti ripete che non era possibile: il ‘no’ della Camusso era insormontabile. Certo, in pubblico parla di ‘’consenso di massima’’ sulla riforma e limita lo scontento della Camusso al solo articolo 18. In realtà tutti chiedono piccole modifiche, piccoli ritocchi. Ma nessuno, tranne la Cgil, boccia la sua proposta. E così la linea, salvo possibili miglioramenti, è quella di toccare il meno possibile. Lo dice lui stesso: la partita con le parti sociali è sostanzialmente archiviata.
Il pacchetto è fatto e modificarlo sarebbe pericoloso. Certo, qualche concessione ci potrà essere in Parlamento, come avvenuto su altre misure. Ma molto dipenderà dallo strumento legislativo che il governo deciderà di usare. Su questo, si ragiona, la scelta fra decreto legge e legge delega, o ddl sarà presa di intesa con il capo dello Stato, ma l’obiettivo è e resta fare il prima possibile. Lo dice chiaramente il ministro Fornero, alla quale Monti non risparmia elogi intestandole per intero il merito della riforma. Ma lo chiarisce lui stesso, spiegando di aver voluto chiudere il confronto prima del viaggio in Asia. Perchè solo così potrà avere un’arma in più per convincere gli investitori stranieri a puntare sull’Italia. Eccolo un altro motivo che lo ha spinto a forzare la mano, spronando – insieme a Vittorio Grilli – Elsa Fornero anche quando il ministro avrebbe preferito trattare di più.
Monti, invece, ha vestito i panni del ‘falco’ insistendo sulla necessità di decidere con o senza l’assenso di tutti. Anche perchè, ha confidato a qualcuno, mercati e istituzioni internazionali avrebbero diffidato di una riforma che metteva tutti d’accordo.
Ciò non significa che non veda i rischi insiti nell’aver deciso di tirare dritto. Perchè ora le tensioni si rifletteranno sul Pd. Ecco perchè, ammette, il no della Cgil lo ‘’preoccupa’’. Ma non tanto da annacquare una riforma che, tra l’altro, toglie ogni ‘’alibi’’ alle imprese che superata la fase congiunturale negativa dovranno investire e assumere. Del resto già l’altra si era capito che i margini di dialogo erano strettissimi. Posizione confermata poi ieri: le sole concessioni fatte riguardano il delicatissimo tema dei licenziamenti disciplinari (lasciando la possibilità del reintegro). Espediente che consente di tenere al tavolo la Uil di Angeletti. Per il resto, il presidente del Consiglio alza un muro di cortese indifferenza davanti alle richieste sindacali. Ora però dovrà convincere il Parlamento che questa è davvero l’unica strada percorribile.

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