Giornalismo in lutto, Mafai: le idee in prima linea

ROMA – Come donne ”nessuno ci ha regalato niente”, ha detto una volta Miriam Mafai e forse è la frase che più si addice per ricordare meglio il temperamento di questa giornalista, e scrittrice, di vaglia, scomparsa ieri a Roma, che ha raccontato, dalle colonne di vari giornali (dall’Unità a Paese Sera, a Noi donne, a Repubblica), l’Italia degli ultimi 60 anni. Lo ha fatto partendo da idee di sinistra, ma senza mai risparmiare le critiche quando la sua parte politica sbagliava o era in ritardo nell’analisi dei cambiamenti della società.
Figlia di due pittori e intellettuali – Mario Mafai, esponente di spicco della Scuola Romana, e Antonietta Raphael – Miriam era nata a Firenze il 2 febbraio del 1926: in tempo per vedere il fascismo, l’Italia in guerra e le leggi razziali che avevano riguardato anche la sua famiglia, visto che la madre era ebrea e figlia di un rabbino lituano. Radici che Miriam ha sempre rivendicato con orgoglio come sue.
Attiva nell’opposizione al fascismo e nella Resistenza, una volta finito il regime Mafai è già un funzionario del Pci. Il partito la manda in Abruzzo. Nel 1948 sposa Umberto Scalia, anche lui uomo di partito designato ad occuparsi di affari internazionali. Hanno due figli: il primo, Luciano, destinato a diventare un dirigente sindacale; la seconda, Sara, che diventerà giornalista come lei. Nel 1957 la famiglia Scalia si trasferisce a Parigi, dove Umberto è in missione per il Pci. Ed è lì che avviene il debutto di Miriam nel giornalismo: Maria Antonietta Macciocchi, con cui ha lavorato durante la Resistenza, la fa diventare corrispondente di ‘Vie nuove’, altra storica pubblicazione della sinistra di quei tempi, fondata da Luigi Longo.
Un anno dopo, il ritorno a Roma dove Mafai entra nell’Unità e nel 1961 ne diventa redattore parlamentare: comincia così quella grande consuetudine con il mondo politico di cui per tantissimi anni si occuperà. Nel 1962 la sua vita privata cambia: si lega a Giancarlo Pajetta, storico leader del Pci. Lui è già separato, per lei il matrimonio con Umberto è già finito. Eppure nel partito di allora l’unione suscita un qualche scandalo.
– La mentalità – racconterà dopo – era grave. Dalle donne comuniste si pretendeva un grande rigore morale.
Quel sodalizio durerà 30 anni: Pajetta – lo racconterà lei stessa – è stato ”l’unico amore” della sua vita. Un connubio fondato – sono sempre parole sue – su una reciproca autonomia, rara per quei tempi e forse anche oggi.
– Ci siamo voluti molto bene Giancarlo ed io, ma – rivelerà – non abbiamo mai sacrificato pezzi della nostra esistenza.
Dopo l’Unità ecco ‘Paese Sera’, altra storica testata di sinistra, ma differente dal quotidiano di partito fondato da Antonio Gramsci. La collaborazione con il giornale finisce però a metà degli anni ’70: Miriam contribuisce nel 1976 alla fondazione de ‘la Repubblica’, giornale destinato a diventare un punto di riferimento dell’area progressista e riformista italiana.
Mafai è una firma di punta del giornale, tra le più inquiete ed originali: i suoi editoriali spaziano su tutti gli aspetti della vita nazionale, non escluso il costume. Il suo legame con la politica resta tuttavia intatto, tanto da portarla per una legislatura ad essere senatore del Partito democratico della sinistra. Critica feroce del berlusconismo, ha spesso richiamato l’Italia ad un ritorno a valori diversi. Attenta ai grandi e ai piccoli cambiamenti della società, Miriam Mafai ha travasato nei suoi tanti libri questa capacità di raccontare una società in movimento che si stacca dal passato: partiti tradizionali compresi.

Miriam Mafai, da ‘pane nero’ alle ‘Botteghe Oscure’

L’evoluzione della società e della condizione femminile, le grandi battaglie, dal divorzio all’aborto ai referendum, i meriti, ma anche gli errori e le difficoltà della sinistra in cui ha sempre militato, la crisi politica e istituzionale che travaglia l’Italia: non c’è forse aspetto dell’ultimo mezzo secolo di storia del Paese che sia sfuggito allo sguardo attento, lucido, appassionato, anticonformista di Miriam Mafai, scomparsa a Roma a 86 anni.
Un’analisi che, accanto all’attività giornalistica, è stata linfa vitale per un’ampia produzione saggistica. L’esordio con ‘Roma cento anni fa’ (Il Rinnovamento, 1973), raccolta dei grandi servizi per Paese Sera, poi le biografie di Riccardo Lombardi (‘Lombardi’, Feltrinelli 1976) e di Pietro Secchia (L’uomo che sognava la lotta armata, Rizzoli 1984). Se nell’Apprendistato della politica. Le donne italiane nel dopoguerra (Editori Riuniti 1979) racconta l’impegno politico al femminile, con Pane nero (Mondadori 1987) ricostruisce la vita quotidiana di quell’esercito di madri, mogli, ragazze, operaie, mondine, borghesi e principesse, ebree e gentili, fasciste, partigiane e borsare nere che vissero gli anni della seconda guerra mondiale, spesso balzando al ruolo di capofamiglia e di uniche vincitrici del conflitto perduto. Un percorso doloroso, ma anche rivelatore di possibilità sconosciute, di cosciente assunzione di responsabilità, di un nuovo modo di essere donna e persona.
Ancora donne in primo piano nelle interviste sul femminismo raccolte ne Il morso della mela (con Ginevra Conti Odorisio e Gianna Schelotto, Calice 1993) e nelle Donne italiane – Il chi è del ‘900 (Rizzoli 1993), raccolta di profili di scienziate, sciatrici, cicliste, ingegneri, galleriste, editrici, partigiane, attrici, scrittrici, cantanti con l’obiettivo di ”fare il punto su ‘cosa siamo’ – spiegava – nel momento in cui la donna italiana affronta l’entrata nell’Europa”.
Nel 1996, proprio mentre la sinistra, dopo le elezioni del 21 aprile, arriva al governo del paese, Mafai firma Botteghe Oscure addio – Come eravamo comunisti (Mondadori), in cui racconta il sogno di governare, a lungo inseguito nelle stanze dello storico palazzo, e l’organizzazione ferrea che c’era dietro, la dedizione totale al partito e ai suoi obiettivi, in base a una concezione della politica desueta che ha accompagnato ai meriti drammi e tragedie, collettive e private.
Per la giornalista è anche arrivato il momento di fare i conti con la figura e l’opera di Enrico Berlinguer: nello stesso anno esce per Donzelli Dimenticare Berlinguer – La sinistra italiana e la tradizione comunista, in cui Mafai, che della stagione del compromesso storico è stata attenta testimone, rivisita quegli anni, quelle teorie, quella personalita’ carismatica, per mostrarne grandezze e responsabilità. Escono poi ‘Il sorpasso. Gli straordinari anni del miracolo economico’ (Mondadori 1997), e ancora Il silenzio dei comunisti (con Vittorio Foa e Alfredo Reichlin, Einaudi 2002). Infine Diario italiano 1976-2006 (Laterza 2006), che raccoglie gli articoli scritti in trent’anni su Repubblica, ”un diario personale, ma anche un diario ‘italiano’, di coloro che hanno attraversato questi anni con le stesse speranze, curiosità, emozioni, indignazioni, delusioni alle quali ho dato voce, o tentato di dare voce, con i miei articoli”, spiega Mafai. Una galleria di foto di ”uomini e donne che, con il loro carico di sogni e ambizioni furono, magari per un giorno soltanto, protagonisti della storia o della cronaca”.

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