Morisini l’ultimo saluto al campione, il dolore sulle note di Ligabue

BERGAMO – Una giornata fredda, invernale, scura: Piermario Morosini riceve l’ultimo saluto a Bergamo in una mattina senza sole, nera come il sentimento della sua città serrata in una tristezza palpabile. La rabbia per la morte di un ex ragazzo dell’oratorio che era andato lontano per diventare un vero giocatore è trattenuta a stento.
Il viaggio e il sogno di Morosini sono finiti a venticinque anni su un campo di calcio. Bergamo è tappezzata dalle foto che ritraggono Piermario sorridente e felice. Per le strade bandiere e striscioni: già nella notte tifosi, amici, conoscenti si sono riversati nella città natale di Morosini per partecipare alle esequie. Molto prima delle undici – l’ora fissata per il funerale nella chiesa di San Gregorio Barbarigo – il sagrato è gremito. Imponente la partecipazione popolare, oltre seimila persone riempiono il quartiere di Monterosso.
La fidanzata Anna, gli zii e i familiari prendono posto in chiesa con largo anticipo. Loro preferiscono che telecamere e giornalisti rimangano un passo indietro. I tifosi insistono inutilmente per entrare e toccare il feretro di legno chiaro ricoperto di rose bianche e gialle. Sopra viene posata la maglietta numero venticinque del giocatore del Livorno e – in seguito – anche quella numero otto con i colori dell’Atalanta.
La chiesa contiene cinquecento persone: arrivano i compagni del Livorno e dell’Udinese, una rappresentanza della Sampdoria e del Padova. Tanti i volti noti: Prandelli, Abete, Ferrara, Albertini e Tommasi, un rappresentante della Fifa, il presidente della Reggina Lillo Foti (squadra dove Morosini aveva giocato), Casiraghi, Paolillo, Braida, Marotta, Novellino.
Il mondo del calcio è presente in modo massiccio. Ci sono i ragazzi della Primavera dell’Inter e del Milan. Arrivano gli ex compagni tra cui Muntari – scosso dai singhiozzi – Giovinco e Volpi. La scena è straziante, il pianto è collettivo per la morte di un ragazzo che aveva sofferto molto, precocemente orfano, il fratello suicida, la sorella con un grave handicap che le impedisce di essere in chiesa. Eppure Piermario aveva sempre un sorriso per tutti, mostrava serenità e grazia nei suoi rapporti, compostezza e forza nel sopportare dolori così grandi. Ma il campo di calcio, da luogo del riscatto, è diventato teatro del suo cedimento.
Un maxischermo permette a tutti di partecipare alla cerimonia funebre. Attorno al feretro sono allineate le sciarpe dei tifosi, ai piedi della bara cestini di rose rosse. I familiari si tengono per mano stringendo le foto del ragazzo, cercando di farsi reciprocamente coraggio. Il pianto è incontenibile e la voce del curato dell’oratorio don Luciano Manenti – al quale è affidato il compito di officiare – è incrinata dalla commozione. Morosini lo ha visto crescere sul campetto di Monterosso, affianco alla chiesa.
“Davvero Mario è nei nostri cuori. Io non ho paura e siamo qui non solo per Mario ma con Mario. Dolce amico mio, timido compagno mio, ripartiamo da te”: sono le parole di Don Luciano.
“A Morosini – dice – bisogna solo dire grazie ma sarebbe lui il primo a dirci che questo grazie va girato alla gente che lo ha cresciuto e quindi alla mamma e al papà”. “Senza di loro – sono le parole di don Luciano rivolte direttamente a Piermario – tu non saresti tu e noi non saremmo noi”.
Don Luciano chiude la sua omelia con un ultimo ringraziamento: “Ti ringrazio perché in questi giorni mi hai insegnato a essere papà e ho capito di più cosa vuol dire che Dio è il nostro papà”.
Parte un lungo applauso, mentre don Luciano scende dal pulpito per andare ad abbracciare i parenti. Lo zio si raccoglie in preghiera davanti alla bara. Toccante il saluto della mamma di Anna, Mariella Vavassori: “Abbiamo perso un figlio e un fratello, il dolore è grande ma sappiamo che non ci vuoi tristi ma con il sorriso, quel sorriso che illuminava sempre tuo viso. Ciao Mario, ti ringraziamo della presenza nella nostra vita ci hai insegnato tanto, hai reso i nostri cuori più veri e leali, liberi come eri tu. Ti ringraziamo per aver donato tanto tanto amore alla nostra Anna ti chiedo solo un favore, chiamami Mariella e non più signora, almeno quando mi chiamerai dal cielo”.
Il passo del vangelo scelto è quello della Pasqua di Resurrezione. Al momento dell’Eucarestia i ragazzi dell’oratorio intonano le canzoni di Ligabue che Morosini amava tanto. Il suono di tre chitarre e il canto dei suoi amici per ‘Il giorno del dolore che uno ha’ e ‘Non e’ tempo per noì.
La cerimonia termina con un altro lunghissimo applauso che unisce tutti, chi é all’interno della chiesa e chi invece è rimasto sul sagrato. I tifosi accendono fumogeni e salutano Morosini con cori da stadio, come merita un giocatore. Il ‘Moro’ parte per l’ultimo viaggio al cimitero monumentale di Bergamo, gli interrogativi e i dubbi restano.