Una messa per Peppino Impastato, Chiesa dice ‘no’ Il parroco: “I tempi non sono ancora maturi”

CINISI – Trentaquattro anni dopo la morte di Peppino Impastato, il ragazzo che pagò con la vita la lotta alla mafia, che sfotteva alla radio i boss di Cosa Nostra, che sventolava la bandiera rossa della rivoluzione sotto il loro naso, che sfidava Tano Badalamenti fin sotto casa, distante appena cento passi dalla sua, la ferita a Cinisi è ancora aperta. Tanto che anche celebrare una messa in sua memoria è ancora tabù.

“I tempi non sono maturi” ha spiegato il parroco della Ecce Homo, Pietro D’Aleo, al fratello di Peppino, Giovanni. In occasione dei quattro giorni di celebrazioni che hanno riaperto il dibattito nel paese a 30 chilometri da Palermo, Giovanni Impastato aveva chiesto una messa, ma gli hanno risposto “è meglio di no”. La cerimonia religiosa è stata così sostituita da una “veglia di preghiera per la legalità e la giustizia sociale”.

– Non c’è alcuna polemica – ha detto il parroco – abbiamo ritenuto che in una veglia si potesse dare più spazio al ricordo, alle letture, alle riflessioni.

Ma in verità ancora oggi è quasi uno scandalo l’idea di commemorare quel nome sull’altare, il nome di un rosso, comunista e rivoluzionario ucciso il 9 maggio del 1978 a trent’anni. E non solo per le resistenze del mondo cattolico, che quest’anno, per la prima volta, ha abbracciato l’idea di partecipare alla commemorazione, ma per quelle interne ai “compagni”. Da una parte il fratello Giovanni con la sua “Casa memoria”, secondo cui bisogna abbattere gli steccati, “perché Peppino è stato già isolato in vita, e sarebbe terribile isolarlo pure in morte”; dall’altra l’associazione Impastato guidata dall’amico Salvo Vitale, geloso custode del ricordo duro e puro.

I due già convivono da separati in casa nella palazzina che fu di don Tano Badalamenti e che adesso, come bene sequestrato alla mafia, è stato affidato dal Comune a entrambi. La messa, in questo clima, sarebbe stata una miccia sulla benzina.

– Con la veglia di preghiera – spiega Caterina Palazzolo, responsabile dell’azione cattolica della parrocchia e promotrice dell’iniziativa – abbiamo cercato una soluzione nel segno del dialogo. La messa sarebbe stata vista male soprattutto all’interno del mondo comunista, più che nella Chiesa.

Radio Aut: “La mafia è una montagna di m…”
Peppino Impastato nacque a Cinisi, Palermo, da una famiglia mafiosa. Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino ‘L’idea socialista’ e aderisce al PSIUP. Dal 1968 partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, degli edili e dei disoccupati. Nel 1976 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.

Aveva 30 anni Peppino, quando il tritolo di Cosa nostra ne dilaniò il corpo tra l’8 e il 9 maggio 1978. Lo fecero a pezzi sui binari della ferrovia di Cinisi. Lo stordirono, colpendolo con una pietra, poi trasportarono il corpo sulle rotaie, lo adagiarono sull’esplosivo e lo fecero brillare. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.

Ci sono voluti 23 anni, però, perché Peppino diventasse un morto di mafia. È stata necessaria la tenacia di mamma Felicia Bartolotta e l’attività del fratello Giovanni, perché al fondatore di Radio Aut venisse restituito l’onore. Per lungo tempo, infatti, il ricordo è stato seppellito sotto una montagna di falsità, depistaggi, ricostruzioni di comodo, che indicarono in quella morte prima il fatale destino di un terrorista vittima del suo stesso esplosivo e, dopo la scoperta di una lettera scritta mesi prima, un suicida.

Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi, è stato condannato all’ergastolo.