L’Argentina cerca in Italia i figli dei desaparecidos

BUENOS AIRES – Sono 105 i ‘nietos’, i nipoti, figli dei ‘desaparecidos’ vittime dell’ultima dittatura (1976-1983) che grazie all’instancabile dedizione delle Nonne di Plaza de Mayo in Argentina hanno recuperato la loro identità dopo essere stati sottratti alle loro madri, sequestrate e lasciate vive fino al parto, per poi essere affidati abusivamente ai militari. Ma ne mancano all’appello ancora 395 e le ‘Abuelas’ hanno ancora una volta attraversato l’oceano per cercarli, da oggi, anche in Italia.

A dire il vero, “l’oceano l’abbiamo attraversato decine di volte in 35 anni, quando la dittatura assassina ci rubava i nipoti…e ci chiamava vecchie pazze. Siamo di nuovo qui, vuol dire che la storia non è chiusa…e forse qualcuno, tra cui anche mio nipote Guido, potrebbe essere proprio qui in Italia” ha detto Estela Carlotto, presidente delle ‘Abuelas’, presentando ieri pomeriggio alla sala stampa della Camera dei Deputati italiana la campagna “La ricerca dei giovani ‘desaparecidos’ italiani”. Promossa dalla Rete per il diritto all’Identità (http://www.retexi.it), “nodo italiano” della Red por el derecho a la Identidad creata in Argentina dalle Nonne, l’iniziativa è rivolta a tutti i giovani che pensano di essere stati rapiti e cresciuti illegalmente da militari del regime argentino o da famiglie a loro vicine: grazie alla prima banca dati del Dna, voluta dalle ‘Abuelas’, sarà possibile fugare ogni dubbio.

Presente in sala uno dei ‘nietos’, oggi deputato, che a 25 anni ha ritrovato la famiglia a cui era stato sottratto dai militari.

Per Horacio Pietragalla, un cognome che ancora una volta rivela origini italiane, recuperare la propria identità, “ha un significato gigantesco…Ho conosciuto la storia dei miei genitori, militanti politici, mia mamma Liliana Corti, mio padre Horacio Pietragalla, avevano 26 e 27 anni e lottavano per un paese più giusto e ugualitario e per un’America Latina più unita e meno oppressa. Ho riabbracciato parte della mia famiglia e ho finito per innamorarmi della politica come i miei genitori perché penso che sia lo strumento principale per cambiare le cose…Recuperare l’identità non è solo recuperare parte della storia, ma vedere la luce, capire se stessi e, soprattutto, essere liberi”.

Quando Licio Gelli stava scappando dalla giustizia italiana, all’Esma – la famigerata Scuola di Meccanica della Marina di Buenos Aires, trasformata in lager, oggi Museo della Memoria – gli fornirono tre passaporti con cui muoversi in Europa, ha ricordato Jorge Ithurburu, tra i promotori dei processi italiani sui ‘desaparecidos’. “Sappiamo – ha detto – che all’Esma avvennero una ventina di parti: se un passaporto poteva uscire dall’Esma e arrivare qui, non poteva anche un bambino uscire e arrivare qui? All’epoca della dittatura i rapporti tra Italia e Argentina erano di questo tenore, quindi è possibile. Come è possibile che dei giovani siano arrivati qui dopo il 2001 – anno della grave crisi economica che scosse il paese – o che ci siano giovani argentini qui a studiare o che siano venuti per altri motivi”. Chiunque abbia dubbi ora sa a chi può rivolgersi.

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