Tutti in forcing sull’Unione europea

LOS CABOS – C’è l’impegno, tanto ambizioso quanto generico, alla crescita e al lavoro e a fermare il “circolo vizioso” fra banche a rischio e governi in rosso. C’è il pressing, americano e non solo, sull’Europa ad “agire ora”, cui gli europei hanno risposto ricordando il disastro di Lehman Brothers. E c’è, forse più concretamente, l’impegno dei ‘Brics’ a rafforzare il capitale del Fmi dotando l’economia di un ‘firewall’ più potente contro la grande crisi del debito. La prima giornata del vertice dei capi di Stato e di governo del G20, nella punta meridionale della Baja California, segue il copione già anticipato da settimane e che ruota tutto attorno alla crisi europea, ai timori (elettorali e finanziari) per le ondate d’instabilità che partono dal Vecchio Continente, e alla Grecia che dopo il caos politico ritrova con le elezioni un governo legittimo. L’Europa – si legge in una bozza della dichiarazione finale del G20 messicano – è d’accordo “nel fare i passi necessari per salvaguardare la stabilità” finanziaria. Una sorta di richiamo dei partner internazionali che arriva a pochi giorni dal vertice Monti-Merkel-Hollande-Rajoy a Roma venerdì, e dal consiglio Ue di fine mese, in cui “va definita una chiara road map con interventi concreti per rendere l’euro più credibile”, come spiega il premier italiano Mario Monti. “Il G20 – prosegue il documento – si impegna a prendere tutte le misure necessarie per rafforzare la crescita economica e creare posti di lavoro” e a “rompere il circolo vizioso fra banche e debito degli Stati”. Dopo l’era del rigore e dell’austerity impersonata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, Los Cabos sancisce la presa di coscienza dei Grandi che di stretta fiscale si può morire, e che senza crescita non si risanano i bilanci. A prendere di petto il tema più spinoso, il braccio di ferro europeo sulla ricetta anti-crisi, è il presidente Usa Barack Obama: “E’ l’ora di agire” per la crescita, dice il presidente Usa richiamando di fatto gli europei prima del suo bilaterale con la Merkel. Un pressing crescente che, cavalcato da alcuni media americani, fa accalorare il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso (“non siamo qui per lezioni di democrazia nè di gestione dell’economia”). “Nessuno pensa che l’Ue sia la fonte del problema”, spiega Monti ricordando gli squilibri finanziari di cui proprio gli Usa sono “protagonisti”. Spetterà ai leader definire come arrivare alla crescita, convincendo i mercati di avere lo slancio per darsi una politica di bilancio più coesa, condizione necessaria (l’ha detto ieri Barroso) per forme di solidarietà come gli eurobond. Intanto, gli europei devono fare i conti con il pericolo imminente di contagio dalle banche spagnole al sistema economico, tanto che ieri il ministro delle Finanze Luis de Guindos ha dovuto rassicurare: “siamo solvibili”.
Nell’attesa che si sciolgano alcuni dei nodi europei, fra le spiagge della località balneare messicana protette da elicotteri e navi della marina, un passo avanti lo fa quell’aumento di capitale del Fmi concordato in primavera ma ancora senza fondi: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno deciso “di accettare l’invito ad aumentare le risorse disponibili per il Fondo monetario internazionale”, che potranno aumentare di 430 la rete di sicurezza globale. Mentre anche i temi della politica estera, dietro le formule di rito, nascondono divisioni su scala globale anche sulla tragedia siriana: sugli armamenti a Damasco, Obama ha parlato di un accordo con Putin per mettere fine alle violenze; il presidente russo si è limitato a parlare di molti “elementi in comune” con l’americano.