Siria, Ban Ki-moon: “Inazione è licenza per massacri”

NEW YORK  – Più che mai senza giri di parole, il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, sulla Siria punta il dito contro Bashar al Assad: Ci sono “prove indiscutibili che il regime a Tremseh ha deliberatamente assassinato innocenti civili”. E questo, ha detto, rende ancora più urgente che l’Onu metta in chiaro che ci saranno conseguenze. Poche ore dopo, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon a sua volta con toni estremamente duri ha condannato ”nel modo più forte possibile l’uso indiscriminato dell’artiglieria pesante e il bombardamento delle aree popolate, anche con elicotteri”.

Ma Ban ha anche rivolto un appello al Consiglio di sicurezza affinchè intraprenda ”’un’azione collettiva e decisiva per fermare la tragedia in atto in Siria”.

– L’inazione – ha detto – diventa una licenza per ulteriori massacri.

Anche l’inviato Onu per la Siria Kofi Annan ha detto che è “imperativo”, che venga messo in chiaro che ci saranno conseguenze se la Siria continuerà a non rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma il Palazzo di Vetro sembra sembra bloccato dall’ennesimo braccio di ferro tra Russia da una parte, e Stati Uniti e Paesi occidentali dall’altra.

La carneficina di Tremseh mostra “in modo drammatico la necessità di misure vincolanti per la Siria”, ha affermato a sua volta la rappresentante degli Stati Uniti all’Onu, Susan Rice. Anche Parigi preme affinché l’Onu alzi la voce.

– Bisogna essere più fermi, minacciando sanzioni del Consiglio di Sicurezza. E’ tempo che ciascuno si prenda le proprie responsabilità – ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Bernard Valero. E da Bruxelles arriva la condanna della strage da parte dell’ Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, che in una nota ha chiesto che agli osservatori Onu sia “garantito accesso immediato e senza ostacoli per verificare tutte le informazioni possibili sugli eventi di Tremseh”. Anche l’Italia, tramite il ministro degli esteri Giulio Terzi ha affermato di volere da parte delle Nazioni Unite “una missione più incisiva e muscolare, che possa avere anche la possibilità di difendersi”.

Tuttavia, Mosca, che con Pechino ha già bloccato nei mesi scorsi due risoluzioni in Consiglio di sicurezza, continua a frenare.

– Qualsiasi misura che potrebbe essere presa senza il consenso del governo (di Damasco) è fuori discussione – ha detto il viceministro degli esteri russo, Ghennadi Gatilov, riferendosi ad eventuali missioni di peacekeeping.

In questo quadro, in Consiglio di sicurezza sono andate avanti le trattative su due testi differenti messi sul tavolo. Uno è della delegazione russa, e prevede il rinnovo per tre mesi del mandato della missione di osservatori, ma non prevede alcuna forma di pressione su Damasco o sulle forze ribelli. A loro volta Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia hanno proposto un testo che stabilisce un ultimatum di dieci giorni al regime di Damasco per smettere di usare le armi pesanti contro le città ribelli, altrimenti verranno imposte sanzioni. Il Consiglio dovrà decidere entro il 20 luglio, quando scade il mandato di 90 giorni della missione di osservatori dell’Unsmis e quindi, nonostante tutto, le tappe della diplomazia sembrano forzate. Anche dall’incalzare di nuovi drammatici eventi sul campo.

Uso di armi chimichi?
Il fantasma delle armi di distruzione di massa aleggia sul conflitto in Siria: le forze armate siriane stanno muovendo dai loro depositi parte del vasto arsenale di armi chimiche di cui dispongono, secondo quanto affermano fonti di intelligence statunitense. Damasco nega, ma gli Stati Uniti sono in allarme, mentre secondo fonti in Israele si tratta di una mossa preventiva per evitare che finiscano in mano ai terroristi o alle forze ribelli. L’arsenale di armi chimiche e biologiche di cui dispone Damascoè il più vasto dell’intero Medio Oriente, e da tempo è fonte di preoccupazione per Washington e per i suo alleati nella regione. La Siria, così come Israele e Egitto, non ha mai firmato la Convenzione del 1992 che rende illegale la produzione, la conservazione e l’uso di armi di questo tipo.

Il dipartimento di Stato, tramite la portavoce Victoria Nuland, ha ribadito che gli Stati uniti hanno ”ripetutamente messo in chiaro che la responsabilità di proteggere i depositi di armi chimiche ricade sul governo siriano”, mostrando un certo nervosismo sull’argomento. Diversi funzionari dell’amministrazione, citati in forma anonima dal Wall Street Journal, esprimono il timore che tali armi possano segnare una ulteriore escalation dello scontro in Siria.

– Si potrebbe fissare un precedente in cui armi di distruzione di massa vengono usate sotto i nostri occhi – ha detto un funzionario Usa aggiungendo che si tratta di un aspetto ”estremamente pericoloso per la nostra sicurezza nazionale”.

In realtà, secondo lo stesso giornale, le analisi a Washington sul significato di questo nuovo sviluppo sono divergenti. Alcuni esponenti politici temono che il regime intenda usare le armi chimiche contro i ribelli e civili nell’ambito di una operazione di pulizia etnica. Altri ritengono che Damasco potrebbe invece aver deciso di nascondere le controverse armi per complicare ulteriormente gli sforzi delle potenze occidentali per individuarle. Altri ancora che potrebbe solo trattarsi di ”una finta” per allarmare sia i ribelli che le capitali occidentali. Di certo, sull’argomento armi di distruzione di massa gli Stati Uniti si muovono con molta cautela, dopo l’esperienza con famigerato arsenale di Saddam Hussein che in realtà non è mai stato trovato nonostante sia stato l’elemento scatenante della guerra del 2003 in Iraq.

Secondo un alto funzionario israeliano citato dal giornale britannico Guardian, l’arsenale chimico siriano viene ”disperso sotto il controllo di un’unità dell’esercito altamente fedele al regime”. Non viene tuttavia coinvolto con l’evoluzione del conflitto.

 

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