Siria: battaglia nell’antica Aleppo Dubbi sulla transizione

BEIRUT – Dopo Damasco, Aleppo. La più popolosa città della Siria, tradizionale snodo dei commerci della regione e fino a poche settimane fa descritta come la roccaforte dei lealisti, è teatro in queste ore di una battaglia strada per strada tra ribelli e forze fedeli al presidente Bashar al Assad. Secondo testimoni, i governativi non hanno esitato a usare gli elicotteri militari per bombardare gli antichi rioni della città vecchia, inserita tra i siti Unesco del patrimonio dell’umanità, e nella tarda serata di ieri fonti dei ribelli hanno riferito che “migliaia di truppe” fedeli al regime a bordo di mezzi corazzati sono stati ritirati dall’altipiano strategico di Jabal Al-Zawwiya, nella provincia nord orientale di Idlib, per dirigersi proprio su Aleppo.

Dopo aver sedato nel sangue un tentativo di ammutinamento di detenuti nel carcere centrale di Aleppo (almeno 13 morti, secondo gli attivisti), le forze lealiste hanno tentato di fermare l’avanzata dei miliziani dell’Esercito libero, giunti fino a Bab al Hadid, accesso al centro storico della città situata a poche decine di km dal confine con la Turchia.
– Siamo proprio scesi all’inferno della guerre civile e nessuno arriva a vedere una luce alla fine del tunnel – è la testimonianza di un religioso cattolico che vive nel centro della città. Gli scontri sono proseguiti anche in tutti gli altri scenari più caldi della guerra siriana. Secondo gli attivisti nelle violenze sono state uccise almeno 90 persone.
Ieri Manaf Tlass, il generale che ha defezionato la scorsa settimana dal regime, in un’intervista ad Al Arabiya ha rivolto un appello ai militari del suo Paese perché rifiutino di compiere quelli che ha definito “crimini di guerra”.

– Mi rivolgo a voi…come uno dei figli dell’Esercito arabo siriano che si è rifiutato di compiere atti criminali di un regime corrotto.

Tlass ha rivolto un appello all’unità dei siriani nel dopo Assad. In Occidente si continua intanto a parlare già del dopo Assad e l’opposizione siriana all’estero, rappresentata dal Consiglio nazionale siriano (Cns), ha dimostrato la sua scarsa capacità di comunicazione arrivando a smentire se stessa. Il suo portavoce e membro dell’ufficio esecutivo, George Sabra, aveva annunciato la disponibilità del Cns a formare – dopo l’uscita di scena del presidente al Assad – un governo di transizione composto anche da personalità dell’attuale regime. Poche ore dopo, l’ufficio stampa del Cns ha inviato ai media una nota in cui si smentisce quanto detto da Sabra. Lui stesso è apparso quindi sugli schermi della tv panaraba al Arabiya, per chiarire il malinteso:

– La disponibilità rimane a formare un governo di unità nazionale con personalità del regime. Queste non dovranno però presiedere il nuovo esecutivo.

Acrobazie retoriche che stonano con il rumore sordo della battaglia proveniente dalla martoriata Siria. Tra i 91 morti contati dai Comitati di coordinamento locali ci sono anche i quattro bimbi e una giovane donna, forse la loro madre, uccisi in un bombardamento di artiglieria governativa a Herak, nella regione meridionale di Daraa. Il video amatoriale, la cui autenticità non può essere verificata, ha ripreso i corpi immobili, intrisi nel sangue e nei detriti dell’esplosione.

Ma non è solo l’opposizione all’estero a inciampare con le parole. Lo stesso governo di Damasco, che – tramite il portavoce del ministero degli esteri Jihad Maqdisi – aveva ammesso per la prima volta di possedere armi chimiche, ha smentito il fatto. In una nota diffusa dalle ambasciate siriane nel mondo si accusano i ‘’mass media stranieri e canali diplomatici’’ di avere ‘’interpretato in modo fazioso e arbitrario il comunicato’’ del ministero degli esteri, ‘’collocandolo al di fuori del suo contesto’’. Stretto riserbo invece da parte di Damasco su quanto riferito da fonti diplomatiche occidentali a Beirut, secondo cui il presidente al Assad avrebbe rimescolato le carte ai vertici delle agenzie di controllo e repressione. Spicca la nomina del generale in pensione Ali Mamluk, già capo dei servizi interni e poi consigliere presidenziale, a responsabile dell’Ufficio della sicurezza nazionale al posto di Hisham Ikhtiyar, morto – almeno ufficialmente – nell’attentato a Damasco del 18 luglio. E mentre non si hanno ancora notizie dei due italiani scomparsi in Siria la settimana scorsa, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha reso noto la stima aggiornata del numero degli sfollati interni dall’inizio delle violenze: un milione e mezzo di persone è senza casa e privo di assistenza medica e alimentare. Sempre secondo l’Onu, i siriani fuggiti all’estero sono invece almeno 115mila.