In vendita i “gioielli” dello Stato italiano

Proprio mentre il leader dell’Unione di Centro Pier Ferdinando Casini lascia trapelare l’intenzione del Presidente del Consiglio Mario Monti di varare il prossimo settembre una «fase 2» della spending review, per la quale sarebbe già pronto un piano «molto articolato», lo Stato italiano annuncia la vendita dei propri “gioielli”.

Così come accaduto negli anni ’90, ci si prepara dunque a mettere mano al patrimonio pubblico al fine di scongiurare un’eventuale manovra eccessivamente pesante per i contribuenti e, più in generale, per un’economia che già versa in condizioni assai delicate.

Idee ed intenzioni a Palazzo Chigi sembrano essere estremamente chiare. Accelerare in questa direzione tanto per le proprietà immobiliari, quanto per le società pubbliche.

Palazzo Bolis Gualdo a Milano, Palazzo Diedo che affaccia sul Canal Grande a Venezia, la caserma S.Mamolo di Bologna e persino un castello, quello Orsini di Soriano del Cimino, «costruito da un Papa e in seguito usato come prigione». Sono soltanto alcune delle residenze da sogno (valore stimato 1,5 miliardi di euro secondo l’Agenzia del Demanio) messe sul mercato e pubblicizzate a tutta pagina sul Wall Street Journal.

«Per gli investitori che bramano di possedere un palazzo italiano, un castello o un altro immobile storico, adesso potrebbe essere il momento di colpire». Questo il titolo del quotidiano newyorkese, che sottolinea come «il piano per l’economia del primo ministro Mario Monti, vicino al passaggio finale, includa la vendita di 350 edifici, insieme ai tagli alla spesa pubblica e altre misure di austerity». E ancora: «le agenzie governative hanno un portafoglio di immobili del valore di circa 42 miliardi di euro e trasformare queste proprietà in contanti sarebbe una strada rapida per far salire le entrate».

Accanto a tali prospettive emergono però una serie di ostacoli piuttosto rilevanti. Il piano di dismissioni potrebbe infatti essere minato da svariati elementi poco favorevoli. La crisi della moneta unica (e la conseguente “fuga” di investitori istituzionali da Paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia), la dipendenza del mercato da una Borsa sempre più altalenante, la burocrazia italiana «notoriamente lenta», le necessarie ristrutturazioni, le difficoltà di trovare inquilini interessati in tempi di recessione.

Fattori che rendono il momento attuale molto diverso dalla già citata fase che il nostro Paese ha vissuto negli anni ’90. Fattori con cui il Governo Monti dovrà necessariamente fare i conti.

Luca Marfè
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