Petrolio, nella corsa all’oro nero trivelle ”puntate” sulla Sicilia

ROMA  – Occhi puntati sulla Sicilia, nella nuova corsa all’oro nero che in Italia, secondo il piano del ministro Passera, dovrebbe raddoppiare l’estrazione di greggio nei prossimi anni. Al momento i permessi già accordati per fare ricerca di idrocarburi in acque italiane sono 26 e ben 42 le richieste per nuove esplorazioni. Tra le aree maggiormente interessate vi sono i fondali del Canale di Sicilia, tra Italia e Tunisia, dove si trova quasi la metà delle concessioni già accordate.

I permessi di ricerca già concessi nel Canale sono 11, quelli in via di valutazione 18, mentre i permessi per l’estrazione di idrocarburi (la cosiddetta “coltivazione”) già concessi sono tre per un totale di quattro piattaforme attive al largo delle coste siciliane. Infine, tre sono le concessioni di coltivazione in via di valutazione. Le aree di maggior interesse per le compagnie petrolifere per il momento sono quelle al largo delle Egadi, il largo della costa tra Marsala e Mazara del Vallo e a sud della costa tra Sciacca e Gela.

Le compagnie mostrano interesse anche per il Canale di Malta (tra Malta e la Sicilia) dove, per uno dei due permessi di ricerca già attivi, la compagnia titolare ha richiesto di perforare un pozzo esplorativo, un nuovo permesso di ricerca è in procinto di essere autorizzato e altri due sono stati richiesti proprio sotto Pozzallo.

Sicilia a parte, nei mari italiani oggi si contano 9 piattaforme petrolifere operative sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare situate principalmente in Adriatico, a largo della costa abruzzese, marchigiana, di fronte a quella brindisina e nel Canale di Sicilia. A terra, invece, il giacimento più importante resta quello della Basilicata, più una riserva che si trova, di nuovo, in Sicilia.

In totale sono 10.266 i kmq di mare italiano oggetto di permessi di ricerca petrolifera già rilasciati, 17.644 kmq di mare oggetto di richieste di ricerca, per un totale di circa 29.700 kmq di mare, una superficie più grande di quella della regione Sardegna.

– Se estraessimo tutto il petrolio che, secondo il ministero dello Sviluppo Economico, è presente in mare, l’Italia lo esaurirebbe in sole 7 settimane. E se al petrolio marino aggiungiamo quello estratto a terra, arriveremmo a 13 mesi. Un quantitativo che definire ridicolo è poco –  Lo dichiara all’Adnkronos Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente e curatore del dossier “Trivella Selvaggia”, commentando il piano del ministero per lo Sviluppo Economico che punta a raddoppiare la produzione petrolifera italiana.

Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo Economico aggiornate a dicembre 2011, nei fondali marini ci sarebbero 10,3 milioni di tonnellate di petrolio. Secondo i dati del Dipartimento per l’Energia, ogni anno in Italia si consumano più di 70 milioni di tonnellate di greggio, per lo più provenienti da fonti estere; nel 2011 la quota estratta in Italia soddisfaceva circa il 7% del fabbisogno nazionale e di questo il 14% proveniente da attività in mare.
Proprio su queste ultime si concentra l’interesse di Legambiente che denuncia “il rischio di nuove perforazioni in mare oggetto del decreto sviluppo di Passera che ha di fatto smontato il divieto di estrazione a mare, approvato dopo il disastro del Golfo del Messico, che fissava a 5 miglia dalla costa l’estrazione a mare, 12 miglia per le zone protette. In questo modo Passera riapre i procedimenti autorizzativi bloccati nel 2010”.

A preoccupare gli ambientalisti sono in particolare i settori pesca e turismo, “attività che sarebbero messe in ginocchio in caso di incidente petrolifero”.

GREENPEACE
Petrolio nel Canale di Sicilia?
Meglio puntare sul solare
ROMA –  Un piano “che non ha prospettiva”, al quale preferire la strada delle rinnovabili, sia per le richieste del mercato sia la capacitá di creare occupazione. E’ la posizione di Greenpeace rispetto al progetto del ministero dello Sviluppo Economico che prevede di raddoppiare la produzione nazionale di petrolio nei prossimi anni.

– Vorrei ricordare che le nuove norme contro le rinnovabili mettono a rischio 34 mila posti di lavoro. Il punto, quindi, é capire in che direzione ci vogliamo sviluppare. Il solare in Italia é stato protagonista di un vero e proprio boom: con il mercato che spinge verso quella direzione, cambiando strada rischiamo di perdere in competitivitá – dichiara Alessandro Gianni direttore delle campagne di Greenpeace.

In piú, secondo Gianni’, “le compagnie vengono a trivellare da noi solo perche’ l’Italia rappresenta per loro un paradiso fiscale. Stiamo svendendo il nostro petrolio e i rischi ce li prendiamo tutti noi”.

Con l’incremento delle royalties, infatti, si passa dall’attuale 4% al 7%, mentre nel resto del mondo oscillano tra il 20% e l’80%: stando a quanto denunciano gli ambientalisti, si tratta di condizioni molto vantaggiose che richiamano in Italia molte compagnie straniere.

Secondo Greenpeace, é chiaro che nel Canale di Sicilia “si prepara una folle corsa all’oro nero: da una dettagliata analisi delle richieste e dei permessi, le compagnie petrolifere da un lato hanno giá trovato dei giacimenti che si preparano a sfruttare, dall’altro moltiplicano le richieste per esplorare i fondali marini alla ricerca di nuovo petrolio”.

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