Cresce la tensione tra Stati Uniti e Siria

Il Presidente degli Stati Uniti d’America e premio Nobel per la pace Barack Obama, rispondendo alla domanda di un giornalista in occasione di una conferenza stampa a sorpresa alla Casa Bianca, rompe gli indugi ed afferma: «L’uso di armi chimiche e biologiche sarebbe una linea rossa per un possibile intervento militare in Siria».
Qualora fosse necessario, l’ennesima dimostrazione che la politica estera di Washington spesso prescinde dall’orientamento dei vertici politici. Come sottolineato in sedi diverse da svariati analisti internazionali, infatti, la stessa segue in qualche modo un proprio corso specifico, sulla base delle reali necessità e dei principi di democrazia tanto cari al Paese.
In ogni caso, a detta del Presidente Obama, «per il momento gli Stati Uniti non prevedono un intervento militare in Siria», anche se è stata definita come «improbabile» un’uscita di scena «morbida per Assad». «Non possiamo avere una situazione nella quale armi chimiche o biologiche cadano nelle mani di persone malvagie. Per questo gli Stati Uniti continueranno a sorvegliare la situazione da vicino» ha concluso il numero uno della Casa Bianca.
Immediato è giunto da Mosca e Pechino un secco «no» ad eventuali interventi non autorizzati dalle Nazioni Unite. In particolare, il Ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov ha ricordato che Russia e Cina difendono la «necessità d’aderire strettamente alle norme del diritto internazionale ed ai principi dello statuto dell’ONU e di non consentire una loro possibile violazione».
Subito dopo è giunta altresì una precisazione ulteriore. Il vicecapo del Dipartimento federale per lo stoccaggio e la distruzione delle armi chimiche, colonnello Vladimir Mandych, fa sapere che Mosca non ha mai fornito armi chimiche a Damasco. Lo riporta l’agenzia di stampa Interfax, dopo che media internazionali hanno scritto che parte dell’arsenale in possesso di Bashar al Assad, sarebbe stato fornito dalla Russia.
Nel frattempo proseguono incessantemente i bombardamenti governativi su gran parte dei quartieri di Aleppo e sul suo circondario, in particolare sulle località di Marea e Tall Rifaat. Lo ha denunciato l’Osservatorio siriano per i Diritti umani, organizzazione dell’opposizione in esilio con sede nel Regno Unito, secondo cui nella capitale economica della Siria sono rimasti uccisi almeno altri nove civili, tra cui donne e bambini. Dal canto loro i Comitati Locali di Coordinamento della Rivoluzione, altro movimento dissidente, hanno riferito di violenti assalti contro Damasco da parte di carri armati lealisti, schierati al posto di blocco di Jdaidet Aruz, a sud-ovest della capitale.
Aerei da guerra avrebbero inoltre martellato con le mitragliatrici pesanti i sobborghi meridionali di al-Hajar al-Aswad e di Babila, mentre caccia-bombardieri sono stati visti sorvolare quello di Assali.
Stando allo stesso Osservatorio, nella sola giornata di ieri (la seconda in Siria della festività di Eid al-Fitr che conclude il Ramadan) si sono contati come minimo 167 nuovi morti accertati: 88 civili, 26 dei quali nella provincia occidentale di Rif Dimashq che circonda Damasco; 47 soldati e 32 ribelli. Rinvenuti inoltre dodici cadaveri non ancora identificati, compresi quelli di alcuni minori, nel quartiere di Qaboon, che si estende alla periferia est della capitale.
Negli scontri ad Aleppo ha perso la vita l’inviata giapponese Mika Yamamoto, colpita a morte ieri durante uno scontro ad Aleppo tra ribelli e forze governative siriane. Lo ha affermato oggi in una intervista telefonica alla tv pubblica, la Nhk, Kazutaka Sato, un collega di viaggio e di testata di Yamamoto, testimone oculare della tragedia.
«Abbiamo visto – ha raccontato Sato – un gruppo di persone in tuta mimetica correre verso di noi e sembravano soldati governativi. Hanno sparato a caso a soli 20-30 metri di distanza o anche da più vicino».
Le edizioni pomeridiane dei principali quotidiani nipponici, a partire da Yomiuri e Asahi, raccontano in prima pagina il ricordo di «una persona che sapeva dare voce alle donne e bambini» in contesti tragici e sanguinosi.
Sale dunque a quattro il numero dei giornalisti rimasti vittime del conflitto in Siria dal marzo 2011 ad oggi. La scomparsa della corrispondente nipponica era infatti stata preceduta da quella di Gilles Jacquier, reporter di France 2, Marie Colvin, cronista statunitense del Sunday Times e del fotografo francese Remi Ochlik.
La Turchia dal canto suo, attraverso un portavoce del Governo di Ankara, fa sapere che ha già accolto settantamila profughi provenienti dai territori di confine e che se tale cifra dovesse superare le centomila unità non ci sarebbe più spazio per ospitarne altri. Un ulteriore elemento di tensione nell’ambito di un quadro già di per sé assai delicato.

Luca Marfé
lucamarfeyahoo.it
Twitter: @marfeluca

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