Ucciso ambasciatore Usa in Libia, c’è l’ombra di Al Qaida

ROMA – L’ombra di Al Qaida si allunga sulla morte dell’ambasciatore Usa in Libia Chris Stevens, ucciso nella notte nell’assalto alla sede di rappresentanza statunitense a Bengasi. Con lui hanno perso la vita anche un funzionario Usa e due marines. Nell’attacco sono rimasti feriti altri cinque civili statunitensi e sono morti una decina di agenti di sicurezza libici.
La reazione di Washington è durissima: si parla di atto “oltraggioso”, e soprattutto, di almeno 200 marines che sono in viaggio per la Libia, come altre unità di elite, chiamate ad assicurare la sicurezza a Tripoli e Bengasi, come in Afghanistan ed Egitto. Scioccato, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che appena martedì aveva ricordato le vittime delle Torri Gemelle, ha promesso che “sarà fatta giustizia” ma che i legami fra gli Stati Uniti e la Libia “non si romperanno”.
Tutto è iniziato con la protesta per un film anti-Maometto che aveva già scatenato le proteste al Cairo, con dimostrazioni violente sfociate nell’assalto all’ambasciata nella capitale egiziana, condito con scritte come “Osama bin Laden riposi in pace”. Ma la concomitanza con l’anniversario dell’11 settembre non può rimanere una semplice coincidenza, né tantomeno l’annuncio ‘ufficiale’ della morte di Abu al-Libi, il numero due di al Qaida ucciso in giugno che proprio martedì Ayman al Zawahiri, il successore di bin Laden, ha deciso di confermare.

La dinamica degli eventi di Bengasi è ancora difficile da chiarire: secondo numerose testimonianze, una dimostrazione ‘pacifica’ contro il film su Maometto è stata l’occasione per dar vita a un vero e proprio assalto, a colpi di armi automatiche, Rpg e mitragliatrici pesanti. I miliziani di Ansar al-Sharia, i ‘partigiani della legge islamica’, protagonisti negli ultimi mesi di numerosi episodi di intimidazione e violenza “hanno bloccato tutte le strade di accesso alla sede Usa, e dicevano di voler uccidere tutti quelli che si trovavano dentro”, ha raccontato un testimone, appartenente a una brigata dei ribelli incaricata di mantenere l’ordine a Bengasi. Il console italiano, Guido De Sanctis, che si trovava a poca distanza – e che ieri avrebbe dovuto incontrare proprio Stevens per “fare il punto sulla situazione” in vista dell’elezioni da parte del neonato Parlamento libico del nuovo premier – ha riferito di “un gran botto, il caos” e di una sparatoria intensa. Un confronto “feroce”, andato avanti per ore e che, secondo le autorità libiche, ha lasciato sul campo almeno 10 ribelli incaricati della sicurezza. Ansar al-Sharia ha negato un coinvolgimento “ufficiale” nell’attacco, ma si è congratulata con coloro che hanno portato a compimento l’attacco “per difendere il profeta Maometto”.

Funzionari dell’amministrazione Usa, citate dalla Cnn, hanno parlato di un “attacco pianificato da al Qaida”, nel quale la vicenda del film ‘blasfemo’ ha svolto solo un ruolo “diversivo”. Gli esperti anti-terrorismo collegano l’episodio all’uccisione di al-Libi, e a una vendetta di al Qaida: “Gli estremisti sapevano che l’ambasciatore era nell’edificio”, spiegano alcune fonti. Altri due statunitensi, del corpo dei Marines, sarebbero stati uccisi invece in una “casa” dove alcuni impiegati della sede diplomatica erano stati “messi al sicuro” dopo il primo assalto al consolato.

Stevens è il primo ambasciatore Usa assassinato dal 1979, l’ultimo aveva perso la vita in Afghanistan. E Washington non esclude neppure l’uso dei droni per dare la caccia ai responsabili. I medici hanno provato a rianimarlo per oltre un’ora e mezza senza successo. E’ morto per asfissia e i video e le foto che circolano sui suoi ultimi momenti sono atroci. La condanna dell’assalto a Bengasi è unanime: si sollevano i musulmani, la comunità internazionale, a partire dalla stessa Tripoli. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano parla di “vile atto terroristico”, il premier Mario Monti, come l’Onu, sottolinea la “ferma condanna”. “Orrore e sdegno per un gesto infame”, sono invece le parole di Giulio Terzi. Ma il film su Maometto e l’arrivo dei Marines in Libia rischiano di creare nuove tensioni e violenze con i ribelli libici, anche quelli non legati all’Islam, che già parlano di “invasione Usa”.

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