Un pulitzer postumo a uno dei più grandi ‘scoop’ della storia

NEW YORK – Un Pulitzer postumo per uno dei piú grossi scoop del ventesimo secolo che al suo autore costó il posto e la carriera: un gruppo di giornalisti sta cercando di convincere il comitato che ogni anno attribuisce gli ‘Oscar’ della carta stampata (da qualche anno sono inclusi anche gli articoli online) di sanare l’ingiustizia che subì nel 1945 Edward Kennedy, il capo dell’ufficio dell’Ap a Parigi che per primo diede la notizia della resa dei tedeschi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Un titolo col punto esclamativo (La guerra in Europa è finita!) stampato su quattro righe a otto colonne del New York Times: il 7 maggio 1945 Kennedy fu tra i 17 reporter ammessi a testimoniare la resa dei tedeschi al quartier generale di Dwight Eisenhower a Reims. La condizione era che i giornalisti tenessero il segreto per 36 ore. Kennedy venne però a sapere che le autorità tedesche avevano dato la notizia in una trasmissione radio ufficiale da Flensburg, e Flebsburg era sotto il controllo alleato. L’inviato dell’Ap decise di fare lo stesso. Utilizzando un telefono militare il giornalista dettò il suo dispaccio all’ufficio di Londra, senza avvisare i capi dell’embargo imposto per permettere ai sovietici di Stalin di celebrare una cerimonia di resa ‘in contemporanea’ a Berlino. Lo scoop di Kennedy finì sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo, con gli altri reporter ‘’furiosi’’ per essersi visti soffiare da sotto il naso la più grossa storia del momento mentre i militari rimasero terribilmente ‘’imbarazzati’’ dall’incidente.
Andò male anche a Kennedy: il giornalista fu espulso dall’Europa e licenziato dall’Ap. Tornato in patria lavorò alla cronaca locale di giornaletti di provincia prima di morire nel 1968 a 58 anni in un incidente stradale.
Pulitzer postumi sono stati assegnati in passato a scrittori come Sylvia Plath e musicisti, da Duke Ellington a Thelonius Monk, mai a giornalisti. Per i colleghi di Kennedy il premio sarebbe un modo per riaffermare i principi del giornalismo americano e il Comitato che attribuisce i riconoscimenti si è detto aperto a esaminare il caso. Sessantasette anni dopo lo scoop fatale, l’Ap ha intanto fatto mea culpa.
– Quello fu un giorno terribile per l’agenzia – ha detto il presidente Tom Curley – e la cosa fu gestita nel peggiore possibile dei modi. Quando una guerra finisce non si può tenere segreta una notizia simile. Il mondo doveva sapere.