Monti: “Manovra, dipende dal voto”. Scontro con Pd-Cgil

ROMA – Una manovra correttiva al momento non è necessaria, ma potrebbe servire se alle elezioni vincerà qualcuno di poco affidabile agli occhi di mercati e istituzioni internazionali. Nel giorno in cui lancia l’offensiva fiscale, snocciolando il programma che intende varare qualora riuscisse a restare a palazzo Chigi, Mario Monti apre un nuovo durissimo scontro con Pd e Cgil, con Susanna Camusso che arriva ad accusarlo di ”minacciare” gli elettori. Parallelamente, forse consapevole dei sondaggi che lo vedono inchiodato al 15%, il professore ammette che l’unico modo per riformare il Paese è quello di riproporre lo schema che quindici mesi fa lo portò a palazzo Chigi: una grande coalizione che aggreghi i riformisti dei due poli che lui, non a caso, intende ”smantellare”. Ma anche su questo fronte incassa l’inevitabile doppio no di Pd ( ‘Per l’amor di Dio…’, esclama il segretario dei Democrats) e Pdl. Massimo D’Alema gli ricorda che ”nei Paesi democratici il governo lo forma chi vince”.  Silvio Berlusconi – ancora una volta escluso dal progetto del professore – lo accusa di voler fare ”l’ago della bilancia”, ma lo avverte che l’operazione ”non riuscirà” perchè la sinistra è ”ancorata” a Vendola e alla Cgil.

Il leader di Scelta Civica arriva negli studi di Omnibus, l’approfondimento mattutino di La7, intenzionato a svelare la sua ricetta fiscale. Incalzato per circa due ore da Alessandra Sardoni, Andrea Pancani, Antonio Padellaro e Stefano Folli, apre però due fronti polemici destinati ad incrinare ancor di più il rapporto con i partiti, soprattutto di centrosinistra. Il suo programma per ridurre le tasse è semplice: addolcire l’Imu, ridurre il peso dell’Irap e ammorbidire l’Irpef per le fasce medio-basse. Un piano, precisa, condizionato a tre circostanze: che si riduca la spesa corrente; che si prosegua nella lotta all’evasione; ma soprattutto che i tassi di interesse non aumentino. Lo spread, dunque, deve restare a livelli accettabili o comunque non superiore agli attuali.

Un ragionamento che lo porta su un terreno scivoloso: il rischio che l’Italia si trovi nuovamente sull’orlo del baratro finanziario – ammonisce – dipendera’ dalla volontà del prossimo governo di non abbandonare il cammino di risanamento concordato in Europa. Al momento, aggiunge, nonostante il peggioramento delle previsioni sul Pil una nuova manovra non appare necessaria, ma – precisa sibillino – ”non escludo niente in certi casi di esito del voto”.

Parole che scatenano la durissima reazione della Cgil prima (”Dovrebbe ricordarsi di essere premier; non può sostenere che la manovra ci può essere o no a seconda di chi vince”, attacca la Camusso) e di Bersani poi: il leader dei democrat, dicendosi ”stanco di manovre” come ”tutti gli italiani”, consiglia a Monti un po’ di ”modestia” anche se – riconosce – ”qualche problemino da affrontare c’è”, accennando al nodo degli ammortizzatori sociali.

Anche l’appello del professore ad una ”nuova, grande coalizione” di riformatori cade nel vuoto. Ammette candidamente di voler ”scomporre i poli”. Obiettivo in parte già perseguito, dice citando le candidature di Ichino (Pd) e Cazzola (Pdl) nella sua lista civica. Ma lui stesso, ammettendo di usare i sondaggi, sa bene che convincere gli elettori non è facile. Inoltre vi sono diverse riforme costituzionali, dalla modifica del titolo V alla riduzione dei parlamentari, che richiedono vaste maggioranze parlamentari. Ecco perchè c’è bisogno di una ”grande coalizione”. Ipotesi stroncata, oltre che dal Cavaliere, dal leader del Pd.

– Lasciamo stare, per l’amor di Dio… – è la risposta quasi sprezzante di Bersani. Che il clima fra i due sia sempre più difficile lo dimostrano le ripetute stoccate che il premier indirizza al segretario: di Mps per non parlo per ”non essere sbranato”, ironizza Monti, che non manca di sottolineare come ”i riformisti di Renzi” siano sono stati ”un pochino accantonati” dopo le primarie.