Siria, la guerra diventa resa dei conti

BEIRUT  – Divisi su linee confessionali ed etniche, i siriani di ogni comunità sopravvivono alla guerra con l’incubo costante di esser rapiti o di vedere i propri cari vittima di sequestro: una minaccia che non risparmia nemmeno i bambini e che si abbatte in modo indiscriminato sui membri di ogni gruppo e fazione in una guerra che ormai si nutre anche di odii personali, vendette di clan, regolamenti di conti, sciacallaggio e criminalità comune.

In alcune regioni del Paese il caos la fa da padrone e in molti casi gruppi di persone armate, che si spacciano per ribelli o miliziani lealisti, sequestrano per estorsione più che per motivi politici o comunitari. In altri casi, il conflitto in corso e l’assenza di un’autoritá forte servono da pretesto per regolare vecchie ruggini tra famiglie o gruppi che si contendono le risorse del territorio.

– Siamo tutti potenziali vittime di rapimenti. Si esce di casa e non si é sicuri di tornare – afferma Manal, una donna di 38 anni di Damasco -. La religione – sostiene – non c’entra niente. A volte viene usata come pretesto da banditi che approfittano della situazione.

Manal ha due figli che non vanno piú a scuola. E un marito che ogni giorno esce di casa per raggiungere il luogo di lavoro.

– Lui é costretto a uscire ma temiamo tutti per la sua sorte.

Non si sa piú nulla invece di Ahmad Uthman, 16 anni. Nella foto pubblicata dai genitori sulla pagina Facebook dedicato agli scomparsi, Ahmad sorride e guarda in alto. Lui é di origini palestinesi. Era uscito di casa e non è mai tornato dai suoi, nel campo profughi di Yarmuk, attorno a Damasco, diventato da tempo teatro di battaglia tra ribelli e lealisti. Nei pressi di Saraqeb, a metà strada tra Aleppo e Hama, un docente universitario è stato rapito due settimane fa da uomini armati che credevano di aver preso ”un uomo ricco”. La nipote, che preferisce mantenere l’anonimato, racconta all’Ansa l’incubo della famiglia:

– Hanno chiesto un riscatto di due milioni di lire (circa 20mila euro), una cifra enorme. Lo hanno rilasciato solo dopo aver capito che non avremmo mai potuto pagare e si sono accontentati di molto meno.

Dania Zabadani ha appena 13 anni. Al momento della scomparsa indossava pantaloni neri, una maglia turchese e un giaccone fucsia. I genitori hanno lasciato su Facebook i loro numeri di telefono, sperando che qualcuno dia notizie. Negli annunci su Internet non è mai indicata l’appartenenza comunitaria della persona scomparsa ma dalla menzione del luogo di residenza risulta evidente che a esser rapiti sono sunniti, alawiti, curdi, cristiani, drusi, sciiti, armeni, ismailiti.

Il sequestro è usato anche per regolare mai sopite faide locali, alcune caratterizzate in realtà proprio dalla tensione confessionale. Sette sciiti di una stessa famiglia di Nubbol, a nord di Aleppo, si trovano da cinque mesi prigionieri di una brigata di ribelli sunniti. Yahiya Zamm, uno dei sequestrati, è stato di recente intervistato dalla tv panarabo-saudita al Arabiya.

– Siamo stati rapiti per uno scambio di prigionieri che non è ancora stato negoziato.

Il sequestratore e capo della brigata Ahrar ash Sham, Ali Bello, afferma che il motivo del rapimento non è politico:

– Yahiya e i suoi non hanno nulla a che fare col regime. Ma i loro parenti a Nubbol hanno rapito venti del nostro villaggio. Hanno preso anche dei vecchi.

Dietro la facciata politicamente corretta della convivenza armoniosa, tra la gente di Nubbol e il resto della campagna di Aleppo, per lo più sunnita, c’è sempre stata rivalità. E una decina di altri sciiti, questa volta libanesi, da quasi un anno sono prigionieri di un gruppo di ribelli sunniti di Azaaz, sempre nella regione di Aleppo, da più parti descritti come ”volgari banditi”. Timidi tentativi sono stati compiuti dalle autorita’ di Beirut per liberare i ”pellegrini”, inizialmente accusati dagli insorti siriani di esser miliziani di Hezbollah, il movimento sciita alleato del regime di Damasco. Così come numerosi sunniti di Qusayr, tra Homs e il confine libanese, sono stati rapiti da sciiti che vivono alla frontiera tra i due Paesi e che da decenni si contendono con gli odiati ‘cugini’ la spartizione delle terre da coltivare.