Marò, futuro legato alla ‘Corte Speciale’

NEW DELHI – A un anno dall’incidente che vide la morte di due pescatori indiani, in cui rimasero coinvolti mentre erano in servizio di sicurezza sulla Enrica Lexie, i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone aspettano soprattutto due eventi: il verdetto di un tribunale speciale e/o una incisiva azione dei governi di India e Italia per trovare una soluzione.

In queste ore i due militari riflettono su quanto è loro capitato dal 15 febbraio del 2012 all’interno dell’ambasciata italiana a New Delhi, dove sono ospiti dal 18 gennaio quando la Corte Suprema ha, con un colpo di spugna e con una certa ‘nonchalance’, annullato tutto l’operato delle autorità del Kerala, Stato meridionale indiano. La loro è diventata una vita quasi normale, sia pure in terra straniera, con una attività regolare, un lavoro, esercizio fisico e mentale, e la possibilità di uscire a piacere nell’area della capitale.

Ogni settimana, comunque, è prevista una firma nel registro del Commissariato di zona. Li si vede spesso nel ristorantino a lato dell’Istituto italiano di Cultura, in abiti civili, che conversano con il personale della rappresentanza o con conoscenti che a volte li invitano a cena nelle loro case. L’unica limitazione reale è quella di rilasciare giudizi o dichiarazioni, almeno fino a quando resta aperto l’iter giudiziario. Si deve ricordare che l’incontro fra la petroliera e il peschereccio St. Anthony avvenne a 20,5 miglia nautiche dalla costa, ben oltre quindi le 12 miglia che costituiscono le acque territoriali, ma dentro un’area grigia definita ‘zona contigua’, in cui l’India vanta alcuni diritti di intervento, ma non quello dei casi di repressione della pirateria.

La morte dei due pescatori comportò l’arresto dei marò da parte della polizia keralese, guidata dal commissario Ajit Kumar (poi promosso ad Ispettore generale a Trivandrum), che agì nei loro confronti senza disporre dei poteri per farlo, come appunto ha stabilito in gennaio la Corte Suprema indiana. Si è trattato di 12 mesi in cui i marò, pur difesi da ministri e sottosegretari italiani venuti anche di persona in India, sono stati sottoposti a pesantissime pressioni, e perfino reclusi per un certo periodo in un edificio all’interno del carcere della capitale keralese.

C’è stata poi la libertà dietro cauzione vissuta a Fort Kochi, e quindi il verdetto del massimo tribunale indiano che ha usato una filosofia salomonica, negando che le autorità del Kerala avessero giurisdizione sul caso, ma rivendicando allo Stato centrale il diritto potenziale di trattarlo. Ma, forse temendo negativi riflessi internazionali di una decisione troppo drastica, il giudice e presidente della Corte, Altamas Kabir, ha disposto la creazione da parte del governo di un tribunale speciale per decidere sulla giurisdizione (italiana o indiana) e, se del caso, aprire un processo.

La costituzione di questo tribunale è cosa insolita e richiederà l’intervento di due ministeri (Esteri e Giustizia) e della stessa Corte Suprema, in tempi che è molto difficile quantificare. Per questo gli esperti ritengono che solo un forte impegno di dialogo ed azione da parte dei governi italiano e indiano potrà portare questa vicenda fuori dalle secche. Il governo di Delhi dovrebbe convincersi che, a prescindere da ragioni di politica interna ora scemate, la tesi del rispetto dei trattati internazionali (come quello sulla navigazione, Unclos) è la via migliore, e che un processo di Latorre e Girone in Italia non è per l’India una battaglia persa.