Bersani: “Pd argine alla ingovernabilità”

ROMA  – Se Romani Prodi amava l’immagine dello scalatore, anche in onore al suo hobby ciclistico, Pier Luigi Bersani preferisce la metafora del passista, che a velocità costante arriva alla meta.

– E ora facciamo lo scatto finale – garantisce il leader Pd che lotta proprio contro il fantasma del suo predecessore costretto ad arrendersi, dopo due anni di governo, a causa di un esito elettorale incerto. Rischio che Bersani teme ma scongiura, definendo l’attuale centrosinistra ”solidissimo” e destinato ”a durare a lungo mentre gli altri non reggeranno uniti”. Il Financial Time non è l’unico a paventare uno scenario elettorale di ingovernabilità: la crescita di Beppe Grillo e le sue piazze piene terrorizzano tutti, a destra come a sinistra e al centro. Ma soprattutto chi, come il Pd, ritiene di avere le maggiori chance di vittoria ma sa, come ricorda Massimo D’Alema, che ”è essenziale che gli italiani individuino una forza a cui si affida un mandato chiaro”. Un esito elettorale certo che Grillo, al pari di Silvio Berlusconi, rischia di mandare in frantumi. Per questo Bersani alza la voce contro il comico genovese, accusandolo di ”prendere in giro gli italiani”, e avverte gli ”arrabbiati” del M5s.

– Le istanze dei cittadini arrabbiati – sostiene il candidato premier del centrosinistra – le comprendo ma Grillo non ha mai risposto ad una domanda in vita sua e questo ci porterebbe fuori dalle democrazie. Poi dice: via dall’euro e mille euro per tre anni a chi è senza lavoro…ma così ci porta in Grecia.

Prima di porsi il problema di alleanze dopo il voto, sulle quali Mario Monti lascia pochi spiragli aperti, il Pd prova il tutto e per tutto per convincere delusi e incerti.

– La rabbia da sola non porta da nessuna parte – rincara Bersani – e noi siamo gli unici che possiamo mettere in moto un governo coraggioso per il cambiamento.

E i democrats tentano di girare a loro vantaggio l’accusa, rivolta soprattutto dai centristi, di essere una maggioranza non coesa che, accusa Pier Ferdinando Casini, ”è ancora quello di Prodi”. Nel 2006 il centrosinistra, ricorda Bersani, ”era di 12 partiti e non c’era il Pd che è il primo partito del paese” con un’alleanza che attraverso le primarie ”ha fatto un patto davanti a 3,2 milioni di elettori”. E che davanti a questioni spinose, invece di lacerarsi in vertici senza risultati, ”si impegna a votare a maggioranza nell’assemblea congiunta dei gruppi”. Impegni che Nichi Vendola conferma.

E non potrebbe essere altrimenti perchè se no, avverte Matteo Renzi anche lui impegnato tra piazze e tv, ”’se Bersani fa la fine di Prodi ci portano via tutti”. Oltre ad offrire garanzie, però, il Pd gira la sfida dell’unità ai rivali:

– Non ho mai visto – ripete Bersani – fotografie di Berlusconi con Storace e Maroni o di Monti con Fini e Casini…si preoccupassero delle loro coalizioni e rispettassero la nostra che durerà più delle altre.

Detto ciò, il leader Pd non viene meno alla sua apertura ad intese con i centristi:

– Noi saremo sempre aperti a una discussione per l’Italia. Se gli altri hanno pregiudizi o preclusioni e mettono altro prima dell’Italia, sono problemi loro.

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