Primavera araba nel caos

ROMA  – Scivolano sempre più nel caos i Paesi protagonisti della Primavera araba. In Egitto lo scontro istituzionale tra magistratura e il presidente Mohamed Morsi ha segnato  un altra giornata di tensione, con il tribunale amministrativo che ha di fatto annullato le elezioni convocate per fine aprile. In Libia le violenze non si fermano, il presidente del Parlamento Mohamed Magarief è scampato  a un attentato, il secondo da gennaio, mentre spunta un collegamento diretto tra la morte dell’ambasciatore Usa, Chris Stevens, a settembre a Bengasi, e al Qaida. Al Cairo la giustizia amministrativa ha annullato il decreto con cui Morsi ha indetto elezioni a partire dal 22 aprile: la Corte ha motivato la sua decisione con la mancata trasmissione alla Corte costituzionale della legge elettorale emendata dalla Camera alta egiziana, il Consiglio della Shura.

L’ufficio della presidenza egiziana ha annunciato che presenterà appello contro la decisione. L’opposizione ha già annunciato che boicotterà la consultazione. I principali leader anti-Morsi hanno condito la decisione con posizioni eclatanti, come il rifiuto di incontrare al Cairo il neo-segretario di Stato Usa, John Kerry, dopo l’invito americano a El Baradei e agli altri leader a partecipare alle elezioni.

– Si tratta di una interferenza esterna – hanno tuonato gli anti-Morsi. Intanto continuano le proteste di piazza, in particolare a Port Said, dove per il quarto giorno consecutivo si sono registrati scontri tra manifestanti e polizia, con un tentato assalto a un edificio governativo e gli agenti che hanno sparato gas lacrimogeni per disperdere la folla.

Il governo ha silurato il responsabile della sicurezza in città, dopo le violenze dei giorni scorsi che hanno causato diverse vittime, nel tentativo di sedare gli animi. Al di là del confine occidentale, in Libia, la Primavera araba è tragicamente piombata in un vero e proprio inverno. L’altra sera centinaia di giovani, la gran parte armata, hanno assediato la seduta del Parlamento, chiedendo l’approvazione della legge di esclusione, una normativa tesa a limitare la partecipazione politica degli ex esponenti del regime di Muammar Gheddafi. La tensione è arrivata alle stelle, con i deputati che sono stati di fatto ”sequestrati” dalla folla, che ha impedito loro per diverse ore di uscire dall’edificio che ospitava l’incontro – la sede ufficiale dell’Assemblea è stata occupata un mese fa dai reduci della rivolta, e liberata solo ieri.

Poi finalmente il presidente Magarief è riuscito ad andar via: la sua auto è stata investita da una ”pioggia di proiettili”, che ha seriamente danneggiato il mezzo blindato. Magarief, già scampato a un attentato a inizio gennaio a Sabha, nel sud, è rimasto miracolosamente illeso. E’ solo l’ultimo episodio di una escalation di violenza che non risparmia nessuno, occidentali e religiosi non-musulmani in testa. Sempre a Tripoli, domenica un uomo armato ha aperto il fuoco contro un sacerdote cattolico nella cattedrale della città, mancandolo.

Nei giorni precedenti, a Bengasi, i cristiani copti sono stati il bersaglio di aggressioni, intimidazioni e arresti indiscriminati. E proprio da Bengasi, scrive la Cnn citando gli 007 occidentali, l’11 settembre 2012 poco dopo l’assalto alla sede diplomatica Usa in cui persero la vita 4 americani tra i quali l’ambasciatore Stevens, parti’ una telefonata diretta a Moktar Belmoktar, la mente dell’assalto all’impianto algerino di In Amenas, in cui sono stati uccisi oltre 30 ostaggi stranieri. ”Congratulazioni”, disse uno sconosciuto a Belmoctar nella telefonata.