MORTE MENNEA. Da Rogge a Buffon, lo sport piange il campione

ROMA – Pietro Mennea, divenuto campione senza aver ricevuto in dono da madre natura un talento innato pari a quello dei grandi velocisti di colore. Ma proprio questo rende le sue imprese sportive ancora più grandi. Perché costruite con sacrificio, dedizione agli allenamenti, forza di volontà. E’ questo il tratto che emerge con più forza dai commenti alla scomparsa del campione olimpico. Le parole del presidente del Coni, Gianni Malagò, non sfigurerebbero come epitaffio per sintetizzano l’immagine che il campione di Barletta lascia di sé: “Non era un superuomo, ma é riuscito in imprese che hanno fatto la storia dello sport”.

“Un atleta prestigioso e anche dirigente di valore. Lascia un grande vuoto nel movimento olimpico” commenta il presidente del Cio, Jacques Rogge.

Si commuove parlandone il professor Carlo Vittori, il tecnico che lo seguì nei primi passi: “Pietro ha tracciato la via metodologica del training. Ha dimostrato che, allenandosi in maniera meticolosa, poteva migliorare, smentendo che un velocista possa lavorare poco, magari solo perché talentuoso. Le doti che gli riconosco sono impegno e testardaggine: era davvero un martello pneumatico”.

Ammirazione e affetto trapelano dalle parole di quanti lo sfidarono sulle piste di atletica. Come Valeri Borzov, ex olimpionico sovietico nei 100 e nei 200 metri: “Tutta la mia carriera è stata legata al suo nome, compresa la popolarità in Italia”. “Il mio più grande rivale”.

Così il britannico Allan Wells ricorda Mennea, che lo batté di due centesimi alle Olimpiadi di Mosca, dove l’azzurro vinse l’oro nei 200. “E’ stata la mia fortuna avere un avversario così forte perché mi ha costretto a migliorarmi”.

“Splendido, scontroso, irriducibile e irripetibile stajanovista” lo tratteggia Eddy Ottoz, bronzo dei 110 metri ostacoli a Città del Messico. Con Livio Berruti furono anche attriti. L’amore per lo sport era lo stesso, ma interpretato in modo diametralmente opposto. “Per lui l’atletica era un lavoro, io volevo divertirmi; lui era pragmatico, io idealista. Il nostro è stato uno scontro, come tra Platone e Aristotele – dice l’oro nei 200 ai Giochi di Roma ’60 – Scompare un asceta dello sport, interpretato sempre con ferocia, volonta’, determinazione”.

Maurizio Damilano, suo compagno di stanza alle Olimpiadi di Mosca ‘80, dice addio ad “uno dei più grandi riferimenti nella storia dell’atletica. Ha saputo dare una svolta al nostro mondo. Sono sconvolto, ci eravamo sentiti poco prima di Natale e non aveva lasciato trapelare nulla della sua salute”. “Il ricordo di Pietro è quello di un ragazzo che faticava con me – dice Sara Simeoni, ex primatista mondiale del salto in alto – sulla pista di Formia. Aveva una tenacia incredibile, i risultati ottenuti sono la logica conseguenza di questa sua grande volontà di arrivare dove altri non sarebbero arrivati”.

Ma alla morte di Mennea dedicano un pensiero anche sportivi di altre discipline. Per il Ct della nazionale di calcio, Cesare Prandelli, era un simbolo “del Sud che tutti noi italiani abbiamo dentro”. “Ha sventolato alto il tricolore in tutto il mondo” ricorda il portiere azzurro Gigi Buffon su twitter. “Quante volte da piccoli abbiamo detto ‘corro veloce come Mennea?’ Addio a un grande campione”: anche Alessandro Del Piero affida al social network il suo omaggio. Per la tennista Flavia Pennetta “é scomparso il più grande atleta italiano di sempre”. “Sgomento e profonda tristezza” sono i sentimenti di Josefa Idem, senatrice PD e campionessa olimpionica della canoa.