Oggi parliamo di Colombia: Un paese in crescita che sogna la pace

BOGOTA’.- La Colombia è la nazione latinoamericana che, negli ultimi anni, ha mantenuto un tasso di crescita costante nonostante la crisi economica che ha colpito i paesi più industrializzati. Nel 2012 è cresciuta di un 4 per cento, un dato molto positivo se lo paragoniamo alle difficoltà che hanno dovuto superare colossi come gli Stati Uniti, l’Europa e anche se in misura minore, la Cina.

La Canada Dominion, una firma che certifica il rischio paese ha spostato la Colombia verso una posizione più elevata e immediatamente il Presidente Santos ha fatto girare l’informazione con un twitter nel quale esprimeva la sua soddisfazione per un ulteriore indicatore positivo dello stato di salute dell’economia del paese.

Il Presidente della Repubblica si è detto felice anche per i dati che dimostrano che c’è stato un forte incremento di capitale straniero con positive conseguenze sulle opportunità di lavoro.

L’aspetto negativo è che questa crescita deriva soprattutto da una maggiore produzione di materie prime e molto meno da uno sviluppo del settore industriale e da quello agricolo. Cosciente di ciò il Presidente Santos ha annunciato per aprile misure volte alla riattivazione proprio del settore industriale.

Tra i problemi che deve affrontare la Colombia c’è anche quello delle asimmetrie regionali. Tante, troppe sono ancora le differenze tra le città e la campagna, tra settori di popolazione con accesso privilegiato a studi di alto livello, lavoro e una vita più sicura e altri che devono sopravvivere alla miseria.

Giustizia per

i “desplazados”

La Colombia è un paese che sta emergendo lentamente da tutte le sequele di una vera e propria guerra. La guerriglia e i paramilitari sono alla base del degrado di alcune zone del paese, sono la causa dei “desplazados” intere popolazioni che hanno dovuto lasciare la propria terra e affrontare vere e proprie diaspore. Scappavano da minacce di morte, massacri, assassinati di familiari e amici. Anno dopo anno in cui terrore e ingiustizia sono andati di pari passo. Ai soprusi delle forze al margine della legalità che li obbligavano a lasciare tutto e andare via, si univa la mancanza di un riconoscimento da parte delle autorità governative. Gli “olvidados”, i dimenticati, come sono stati chiamati fuggivano dal terrore e non trovavano una mano tesa ad accoglierli. Poi finalmente nel 2004 una sentenza della Corte Costituzionale ha cambiato questa situazione e ha dato loro giusta visibilità. In tutto il paese si è aperto un dibattito che ha portato finalmente, nel 2011, all’approvazione, da parte del governo del Presidente Santos della “Ley de vìctimas y restituciòn de tierras”. Finalmente gli “olvidados” hanno avuto un riconoscimento dovuto e un atteso risarcimento.

Ma tutti sanno, in primis il Presidente Santos, che la Colombia non riuscirà mai a decollare davvero se il governo non sarà capace di stipulare una vera pace con le forze della guerriglia e in particolare con le FARC (Forze armate rivoluzionarie colombiane).

Dopo la linea dura di Uribe e il dialogo morbido di Pastrana, Santos ha imboccato una via di mezzo che forse, riuscirà lì dove altri capi di Stato hanno fallito.

L’avvio dell’attuale

processo di pace

Un tavolo dei negoziati è stato avviato lo scorso novembre del 2012 a Cuba con uno schema chiaro e preciso dei temi che dovranno essere trattati. Il primo, quello che da tutti è considerato il più caldo e fondamentale per avanzare verso gli altri, riguarda un piano di sviluppo agricolo integrale. Nei mesi in cui il dialogo è andato avanti le due parti hanno raggiunto molti punti di consenso ma i nodi da sciogliere sono ancora tanti. Tra quest’ultimi la richiesta da parte delle FARC di creare nuove zone di riserva contadina autonome, richiesta sostenuta da più di 3mila contadini che si sono riuniti nel municipio di San Vicente del Caguàn per esprimere il loro pensiero al riguardo e dall’Associazione Nazionale di Zone di Riserva contadine (ANZORC). Le zone di riserva contadine sono aree autonome sorte su terreni pubblici e abbandonati che, per legge, dovrebbero diventare di proprietà di chi le lavora.

Molte le voci di dissenso verso questa richiesta. L’opinionista del quotidiano El Tiempo Mauricio Botero Caicedo nella sua colonna ha messo in guardia contro il pericolo che, a suo parere, rappresenterebbe la creazione di 59 zone di riserva contadina con un’estensione di 9,5 milioni di ettari pari quasi al doppio della totalità delle aree agricole del paese.

Botero Caicedo sostiene che ciò porterebbe alla “balcanizzazione” del paese dal momento che, si legge nel suo commento, dalle richieste delle FARC si deduce che loro sono più interessati ad un’autonomia politica e amministrativa di queste zone che al loro sviluppo agricolo.

A sostegno della sua tesi ricorda che le aree in cui già esistono delle riserve, il Chocò e il Cauca, quelle nelle quali vivono indigeni e afrodiscendenti, sono anche le aree del paese in cui si concentra il più alto indice di povertà.

D’altra parte su questo punto la posizione del governo sembra irremovibile. Il ministro dell’Agricoltura Juan Camilo Restrepo considera una follia l’idea di creare zone di riserva contadina con un’ampia autonomia politica ed amministrativa in tutto il paese e mette in guardia contro la volontà delle FARC di “dividere e convertire il paese in un mosaico di repubblichine indipendenti”. Una cosa, ha detto, che “questo governo non farà mai”.

Altri punti caldi

da analizzare e risolvere

Le altre problematiche sulle quali FARC e governo dovranno trovare un accordo tanto atteso quanto difficile saranno la partecipazione politica che dovrà sostituire il conflitto armato, il problema del narcotraffico, la protezione delle vittime e il risarcimento delle terre.

Il dialogo che doveva riprendere in questi primi giorni di aprile è stato spostato alla metà del mese. Un ritardo che ha messo in allarme chi teme che anche questo processo di pace possa restare impantanato nel nulla come gli altri. Ma portavoci sia delle FARC che del governo hanno assicurato che la data della ripresa delle trattative è stata spostata unicamente per permettere a tutti di studiare con maggiore attenzione i punti di disaccordo e cercare alternative che possano aiutare a superarli.

Al tempo stesso è stato annunciato un foro che si realizzerà a Bogotà alla fine di aprile sul secondo tema in agenda, quello della partecipazione politica.

Ma, nonostante le rassicurazioni degli “ambasciatori” delle due parti, non è possibile nascondere la tensione sotterranea che rende il dialogo difficile e rischia di farlo entrare in una fase di stallo. Se per quanto riguarda l’accordo sul piano di sviluppo agricolo integrale ancora restano molte ombre da dissipare, un altro dei punti di divergenza importante è quello che riguarda il reinserimento civile e politico dei militanti delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane.

Le richieste del governo prevedono che le condizioni per un reinserimento dei quadri delle FARC nella vita pubblica del paese partono da una loro resa totale che implica anche qualche anno di detenzione per alcuni leader.

Secco è rimbombato il “no” delle FARC a questa richieste. “Non faremo neanche un giorno di carcere” hanno detto senza lasciare nessun dubbio su questa decisione.

E ancora, in un documento firmato dallo Stato Maggiore Centrale della Segreteria si legge: “Resa incondizionata della guerriglia, consegna delle armi, sottomissione alle sue politiche, tutto a cambio di due o tre posti nel Congresso, alla passeggiata per qualche mese di un comandante in qualità di Ministro di Lavoro o di Salute. Una manciata di promesse e perfino qualche anno di carcere per i principali leader del movimento insurrezionale ci chiedono. Ingenuità o cinismo? Forse entrambe le cose”.

All’interno dello stesso documento mettono il dito su un’altra piaga: il modello economico e la presenza delle multinazionali internazionali. “Senza un nuovo modello economico non è pensabile parlare di pace” hanno detto.

 

La lunga marcia

della pace

Lunga e dolorosa è la guerra interna che in Colombia si sono disputati esponenti legati in un primo momento alle ideologie di destra e sinistra e negli anni ad interessi economici che si mescolano con il narcotraffico. L’inizio della guerriglia risale al 1948, anno in cui fu assassinato il leader del Partito Liberale Jorge Eliécer Gaitán. Un detonatore che fece esplodere gli odi politici e in quel periodo denominato “l’epoca della violenza” alcuni contadini costituirono dei gruppi armati di autodifesa. Tra questi quello che sarà comandato da Pedro Antonio Marín, che poi assumerà il nome di Manuel Marulanda Vélez, il famoso ´Tirofijo´

La scia di sangue lasciata da questa guerra di potere è immensa e non accenna ancora a diminuire anche se tutti sperano in una risoluzione positiva del dialogo di pace che si sta svolgendo, tra mille difficoltà, a Cuba.

In molti si chiedono con un po’ di scetticismo ma anche con reali aspettative se questo processo riuscirà ad avere migliore fortuna dei tanti altri che sono stati avviati durante anni.

Il primo tentativo viene fatto nel 1981 dall’ex Presidente liberale Julio César Turbay e si arena dopo pochissimo tempo.

Lo riprende l’anno seguente il Presidente conservatore Belisario Betancour e nel 1984 viene firmato l’Accordo di La Uribe che prevede un cessate il fuoco bilaterale. Ma dopo altri tre anni, nel 1987, anche questo tentativo si arena nel nulla.

Lo riprende nel 1988 il presidente liberale Virgilio Barco. In quel periodo, però, i veri  nemici della pace sono i paramilitari che anno dopo anno eseguono un vero sterminio di massa di politici di centrosinistra e in particolare del Partito Unione Patriottica, nelle cui fila confluiva l’ala moderata della guerriglia.

Nel 1990 Barco firma un accordo con il movimento M-19 e ottiene il reintegro alla vita civile e politica di questa organizzazione armata.

Nel 1991 toccherà al Presidente Cesar Gaviria riprendere le conversazioni con le FARC e l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) ma il sequestro e posteriore omicidio di un ex ministro a mani della guerriglia fa decadere ogni speranza di pace con le FARC. Si ottiene però la resa dei gruppi guerriglieri EPL (Esercito popolare di Liberazione), Quintin Lame (formazione indigena) e del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (PRT). Stessa sorte per Corrente Rivoluzionaria Socialista, nata da una costola dell’ELN.

Sarà poi il presidente Ernesto Samper, nel 1998, a cercare un avvicinamento con l’ELN, movimento guerrigliero a cui concede lo status politico.

Sempre nel ‘98 arriva alla Presidenza Andrès Pastrana grazie alla promessa di lavorare attivamente per raggiungere un accordo di pace. Pastrana smilitarizza una zona di 42 chilometri affinchè diventi il teatro dove si svolgeranno i negoziati di pace.

Molti i momenti di ottimismo e altrettanti quelli di tensione. Finalmente nel 2002 salta il tavolo delle trattative e cadono le speranze dei molti che questa volta avevano creduto davvero in una svolta positiva del conflitto.

La delusione creata dal fallimento di Pastrana porta al potere Alvaro Uribe, uomo che crede nella linea dura e che sferrerà un’offensiva senza precedenti contro la guerriglia contando sul sostegno degli Stati Uniti. Parallelamente cerca di riannodare i fili del dialogo anche grazie alla mediazione del Presidente del Venezuela Hugo Chàvez ma, ancora una volta, con risultati negativi.

Poi dal 2012 il tavolo delle trattative viene riaperto dal Presidente Juan Manuel Santos. Governo e FARC hanno firmato un accordo quadro che stabilisce un ruolino di marcia e tutti sperano che questa sia la volta buona.

La difficile vita

della sinistra democratica

Una delle grandi vittime del conflitto colombiano è stata la sinistra moderata e democratica soffocata sia dall’estremismo della guerriglia che dalla ferocia dei paramilitari e dalla destra estrema. In particolare dirigenti e militanti del Partito Unione Patriottica nato durante la Presidenza di Belisario Betancourt con il proposito di dare uno sbocco pacifico e politico alle richieste delle FARC. Un partito che è stato distrutto senza pietà e con una violenza inaudita.

Due candidati presidenziali, 21 parlamentari, 11 sindaci, 70 consiglieri e circa 4000 militanti sono il triste bilancio di una strategia che puntava all’eliminazione sistematica di qualsiasi voce di dissenso. La connivenza tra il paramilitarismo, l’oligarchia colombiana e l’esercito e la polizia colombiane è ormai un dato irrefutabile confermato dalla Giustizia.

Il più grande partito della sinistra democratica colombiana ora è in attesa di una decisione del Consiglio di Stato che dovrebbe restituirgli la personalità giuridica e denota un rinnovato dinamismo. La speranza di tutti è che mai più il terrore debba soffocare una forza politica.

Un primo piccolo atto di giustizia è stato fatto in questi mesi grazie all’applicazione della legge per la restituzione delle terre alle vittime del conflitto. Settanta ettari di terra sono stati restituiti alle vittime di questo massacro politico. Un giusto riconoscimento per chi aveva ceduto dietro pesanti minacce ogni bene e che ha pagato con la vita l’impegno politico.

 Mariza Bafile

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