TURCHIA. Le atrocità che non si raccontano

Un vero e proprio bollettino di guerra. Non ci sono altre parole per descrivere notizie e statistiche che giungono quotidianamente dalla vicina Turchia. Mentre lo scacchiere mondiale è preda di crisi gravissime ed i media sono intenti a raccontarci ogni giorno di Siria, Corea del Nord e Mali, nella regione incastrata tra Europa ed Asia si consumano atrocità silenziose che sfuggono alle attenzioni del grande pubblico.

Le vittime di questo dramma sono le donne. Molto spesso poco più che bambine. I carnefici quasi mai hanno un volto e si celano dietro l’entità astratta del branco, protetti da una cultura tanto antica quanto maschilista.

I crimini contro le donne hanno fatto registrare negli ultimi dieci anni un incremento spaventoso: 400 punti percentuali. Un dato ancor più allarmante se si considera che molti degli abusi perpetrati non vengono portati all’attenzione delle autorità, ma restano soffocati nel silenzio delle mura domestiche. A dir poco clamoroso il caso dell’onorevole Salman Kotan che si è mostrata in parlamento con un occhio viola.

L’ultimo rapporto di Amnesty International parla chiaro: “Almeno un terzo delle donne turche subisce violenze fisiche in famiglia con un impressionante numero di omicidi e suicidi”.

I casi ormai non si contano più. Agghiacciante la vicenda di alcune settimane fa: una bimba di dodici anni è divenuta preda per un branco di 26 uomini. I difensori di questi “galantuomini” sostengono che la vittima fosse consenziente. Non c’è tempo per elaborare la rabbia e lo sdegno che, soltanto una decina di giorni fa, la storia si ripete. 29 persone, tra le quali un poliziotto, vengono arrestate con l’accusa di aver violentato una tredicenne. La giovane, terrorizzata dalle minacce dei suoi persecutori, è riuscita a denunciarli soltanto grazie all’aiuto ed al coraggio della sua insegnante.

L’elenco è potenzialmente infinito e passa altresì attraverso il tortuoso ed inquietante sentiero dei matrimoni minorili e delle “spose bambine”, cui viene negata la possibilità di scegliere il proprio destino.

Si sta parlando della Turchia. Quella stessa Turchia la cui candidatura per l’Unione Europea è stata avanzata già da diversi anni e che affolla le pagine dei quotidiani ed i dibattiti televisivi. Qualsiasi riferimento, però, è riservato solo e soltanto ad aspetti politico-economici. Un Paese così esteso e popolato avrebbe senza dubbio un peso ingente in seno al parlamento europeo. E poi ancora spread, crescita del pil e via discorrendo. Sarebbe bello però che a Bruxelles qualcuno si ricordi anche di qualcosa che meriterebbe di stare al di sopra di tutto questo: i diritti umani.

Romeo Lucci