Ocse, senza lavoro il 39% dei giovani italiani

PARIGI – La disoccupazione tra i giovani continua a crescere, e sempre più spesso é di lunga durata. In Italia, in particolare, la situazione é drammatica: 39% dei giovani sono senza lavoro, dato inferiore solo a quello di Grecia, Spagna e Portogallo. E’ l’allarme lanciato dall’Ocse in chiusura della ministeriale, accompagnato a un monito ai governi, chiamati ad ”agire immediatamente” per ridare prospettive a chi non riesce ad entrare nel mondo del lavoro.

Ció che preoccupa soprattutto è l’incessante aumento dei giovani ‘Neet’, ovvero di quelli che non hanno un lavoro e non sono nemmeno in educazione o formazione. Nell’insieme dell’area Ocse sono ormai 22 milioni, e in Italia superano il 21% tra gli under 25. Un problema che, sottolinea il direttore della divisione Lavoro dell’organizzazione parigina, Stefano Scarpetta, esisteva già prima della crisi, ma adesso ”da serio è diventato drammatico”.

Per affrontarlo, i 34 Paesi membri dell’Ocse hanno stilato un ”piano d’azione”, articolato su due pilastri. Prima di tutto, misure rapide, di breve termine, che offrano ”una garanzia di risorse ai giovani disoccupati”, e soprattutto a quel 20% che è senza lavoro da almeno un anno, e che fara’ sempre più fatica a rientrare nel mercato.

– Parlare di ‘generazione perduta’ forse è un po’ troppo da slogan mediatico – commenta ancora Scarpetta – ma certo c’è una quota significativa di giovani che sono in difficoltà da diversi anni.

Le azioni d’urgenza, però, non bastano: occorrono anche interventi di più lungo respiro, che vadano a toccare i problemi strutturali. In Italia in particolare, spiega sempre l’esperto Ocse, occorre intervenire sul sistema educativo e sull’elevata dispersione scolastica.

– Il numero di giovani che non finiscono neanche la scuola secondaria è molto alto, pochi si iscrivono all’università e ancora meno la finiscono – sottolinea -. Spesso chi esce da scuola non ha le competenze richieste dal mondo del lavoro. Inoltre – prosegue – nel nostro Paese si è disinvestito nella formazione tecnica di qualità, anche per un problema di percezione da parte delle famiglie, che spesso la ritengono meno auspicabile di un percorso accademico per i loro figli. I Paesi che sono riusciti a tenere la disoccupazione giovanile sotto il 10%, come la Germania, hanno rafforzato la formazione tecnico-professionale di alta qualità, favorendo la connessione tra imprese e scuole – dice ancora – L’Italia ce l’aveva, aveva gia quello di cui la Germania si vanta, ma purtroppo l’ha un po’ persa.

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