Letta al Cav: “Senza Berlino non si va a nessuna parte”

ROMA – Sbattere i pungi sul tavolo europeo non sarebbe solo inutile, ma controproducente. Enrico Letta vuole evitare polemiche con Silvio Berlusconi e lascia cadere quel’invito ad ingaggiare un ”braccio di ferro” con Angela Merkel. Un po’ per non acuire le tensioni nella maggioranza, ritenendo più utile concentrarsi sul governo (come dimostrano la serie di incontri a palazzo Chigi, a cominciare da quello con Saccomanni e Franco). Un po’ perchè, al di là dei toni ”da campagna elettorale” del Cavaliere, anche lui ritiene che l’Ue debba cambiare rotta. Detto ciò, non intende neanche seguire i suoi ‘suggerimenti’. Anzi: pur avendo lo stesso obiettivo, il modo per raggiungerlo è radicalmente diverso.

Il presidente del Consiglio ha ben chiara la strategia da adottare. Un percorso che in buona parte riprende e prosegue quello avviato da Mario Monti. L’Italia deve in primo luogo essere ”credibile”. Per questo era tanto importante archiviare la procedura per deficit eccessivo. Mantenere le promesse, però, non basta: i margini di manovra resteranno limitati anche restando sotto il 3%. Occorre perciò piegare le resistenze di Frau Merkel, poco intenzionata – soprattutto in campagna elettorale – ad ammorbidire le posizioni sulla ‘golden rule’ chiesta da Roma al fine di scorporare dai bilanci gli investimenti produttivi. Per farlo, tuttavia, Letta ritiene che l’unica strada sia quella della persuasione. Si deve convincere la Germania che avrebbe tutto da guadagnare da una ripresa del Pil nel Vecchio Continente: sia da un punto di vista politico, per frenare il crescente anti europeismo; sia da quello economico, visto che se il resto dell’Europa non riparte anche le imprese tedesche ne pagheranno presto le conseguenze.

Il consenso di Berlino, agli occhi di Letta, è tuttavia indispensabile: l’Europa ha fatto passi avanti solo quando i grandi Paesi remavano nella stessa direzione, ripete. Coinvolgere Angela Merkel, dunque, non ingaggiare inutili bracci di ferro. Questo l’intento del premier che considera velleitario qualsiasi tentativo di isolare Berlino. L’unico risultato che otterremmo, spiega un ministro, sarebbe ”farli arroccare ancor di più”. Proprio ora che, si sostiene a palazzo Chigi, al di la’ della propaganda elettorale, i tedeschi si stanno ammorbidendo, come dimostra la partecipazione tedesca ai vertici ministeriali sull’occupazione giovanile.

”Segnali concreti”, per Letta, che l’aria sta cambiando. Ciò non vuol dire non incalzare la Merkel. Monti arrivò a metter il veto al vertice dello scorso giugno; Letta spera di non dover arrivare a tanto. Ma non vuole nemmeno tornare a casa a mani vuote. Allora sì che il governo rischierebbe. Per questo conta sulla sponda di Parigi e Madrid. Ma anche di Washington: utile a questo scopo sarà il G8 in Irlanda del Nord, dove per la prima volta incontrerà Barack Obama, meno interessato di un anno fa ai destini dell’Ue, ma da sempre critico verso il rigorismo teutonico.

Non bisogna però farsi illusioni. L’Italia sa bene che quello di giugno sarà solo il primo round. Si potranno gettare le basi politiche ma, al di là dell’anticipo del piano Ue sull’occupazione giovanile (che però vale solo 6 miliardi), per le misure concrete si dovrà attendere il voto tedesco e dunque il summit di fine anno.

Nel frattempo Letta dovrà fare i conti con il pressing del Cavaliere e le possibili conseguenze sulla maggioranza. Atteggiamento che preoccupa, ma non nell’immediato.

– Siamo a pochi giorni dai ballottaggi – spiega una fonte di governo, secondo la quale tuttavia è anche vero che Berlusconi sembra volersi tenere pronto ”nel caso la situazione precipiti”, avendo un ‘nemico’ esterno (la Germania) da combattere in campagna elettorale.

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