Boston, Donnaruma: “Il richiamo alle origini è sempre più debole”

BOSTON – “La Gazzetta del Massachusetts fu fondata da mio nonno nel 1903.  James, questo era il suo nome, già dal 1896, circa 117 anni fa, era convinto della necessità di un giornale che informasse e orientasse gli immigranti italiani nella loro lingua e li aiutasse a capire cosa accadeva negli Stati Uniti e, in particolare, a Boston. Allora, a fine ’800 e all’inizio del secolo scorso, c’era una grossa ondata d’immigranti italiani”.  Pamela Donnaruma, l’attuale direttrice del “Post- Gazzette”, che in passato si chiamava “La Gazzetta del Massachusetts”, è la nipote del fondatore della storica testata. Dal nonno ha ereditato la forza e la determinazione dell’emigrante e la passione per il giornalismo, quello onesto al servizio della comunità. Ci riceve nel suo ufficio, una stanza stracolma di libri, di documenti, di fascicoli, di fogli. La sede del “Post Gazzette” è ad Hanover Street, il cuore della “Little Italy” bostoniana.

Piccola, ospitale, con una lunga storia, culla della democrazia e sede delle più prestigiose università del mondo. Questa è Boston, una città a misura d’uomo; una città che, come tante altre degli “States”, accolse all´inizio del secolo scorso, un gran numero di emigranti italiani. Operai, contadini, giovani disoccupati che non avevano “né arte né parte” mossi da un grande desiderio di costruirsi un futuro migliore; dalla speranza di poter lasciare alle spalle la miseria e realizzare un sogno.

Sono trascorsi ormai tanti anni, 117 come ci ricorda Donnaruma. E quella speranza che indicò la via del progresso è una realtà. La nostra comunità, oggi, è costituita dalla seconda, terza ed anche quarta generazione. Dei pionieri, ormai, resta la loro storia; una storia scritta col sudore della fronte, fatta di molti sacrifici ma anche tante soddisfazioni. E restano anche i tanti cognomi italiani di grande prestigio nel mondo della cultura, della politica e dell’imprenditorialità. Oggi gli eredi dell’emigrazione del secolo scorso sono professionisti brillanti, ricercatori e studiosi di fama internazionale, professori di prestigio, medici stimati, imprenditori e politici di successo.

– Mio nonno, il fondatore de “La Gazzetta del Massachusetts”, era un uomo di potere il quale si pose l’obiettivo di aiutare gli italiani – spiega Donnaruma -. E di mantenerli informati attraverso un giornale scritto nella loro lingua.

Ci mostra le ultime edizioni del “Post-Gazzette”, che una volta si chiamava “La Gazzetta del Massachusetts” e, dopo averci indicato il suo lemma “The Italian Voice of Massachusetts”, ci illustra la politica del periodico.

– E’ la stessa – sottolinea – che si fissò mio nonno.

Ed è riassunta in terza pagina. Come nel primo numero de “La Gazzetta”, dopo un secolo di storia, ancora oggi nel “Post-Gazzette” è scritto:

“La nostra politica: aiutare a preservare gli ideali e le sacre tradizioni di questo Paese da noi adottato; onorare le leggi  e ispirare negli altri il rispetto e l’obbedienza di esse; sforzarci al senso di dovere civico di servizio pubblico; ed aiutare per ogni mezzo questo Paese ad essere sempre più grande e migliore di come l’abbiamo trovato”.

– Mio nonno s’impegnò ad aiutare gli italiani – ci dice senza nascondere un legittimo orgoglio e ammirazione -. Li aiutava a trovare un lavoro. Si opponeva ad ogni tipo di discriminazione.

Ci spiega che allora le banche non davano credito agli immigrati. Per tale ragione risultava quasi impossibile intraprendere una attività imprenditoriale. Fu allora che James Donnaruma promosse la creazione di una banca che desse fiducia allo spirito imprenditoriale dei nostri immigrati.

– Erano discriminati per la loro umiltà?

– No – risponde la Direttrice del “Post-Gazzette” -. Erano discriminati perché li si identificava con la mafia.

– Insomma l’immagine peggiore che trasmette l’industria cinematografica di Hollywood…

– Hollywood – precisa – allora non esisteva. Stiamo parlando del 1896. L’italiano veniva identificato con la mafia.

Ricorda i tragici avvenimenti che portarono alla morte di Sacco e Vanzetti, i due anarchici accusati dell’assassinato di un contabile e di una guardia del calzaturificio “Slater and Morill”, dichiarati colpevoli e giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927. Furono condannati nonostante fossero emersi tanti dubbi circa la loro colpevolezza  e ci fosse la confessione del portoricano Celestino Madeiros che li scagionava. E’ questa una pagina di storia vergognosa della giustizia americana; una pagina di storia che illustra quanta discriminazione esistesse allora contro gli immigrati. Oggi, fortunatamente, i tempi sono cambiati.

– In passato – ci dice Donnaruma –, la comunità italo-americana di Boston era molto numerosa.

Poi, però, spiega, un gran numero di connazionali, col passare degli anni, spesso spinto dalle necessitá della vita e dallo sviluppo della città, decise di trasferirsi in altri centri urbani. Due gli avvenimenti che considera determinanti: la decisione delle autorità di abbattere interi quartieri per costruirne altri nuovi e più moderni e il provvedimento che, al fine di promuovere l’integrazione tra i cittadini, obbligava gli studenti degli istituti pubblici a frequentare scuole in quartieri diversi da quelli in cui vivevano.

Nel caso della ricostruzione di interi quartieri, come ad esempio il North End ieri cuore dell’italianità ed oggi uno degli sviluppi edilizi più esclusivi della città, gli abitanti furono costretti a trasferirsi altrove, con la promessa di un loro prossimo rientro. Promessa mai mantenuta.

Per quel che riguarda, poi, il provvedimento orientato all’integrazione degli abitanti della città, esso trovò l’immediata opposizione dei cittadini, specialmente degli italo-americani. Ma le leggi, come sottolinea Donnaruma, vanno rispettate. Ed allora chi aveva le possibilità economiche, iscrisse i propri figli nelle scuole private; altri dovettero adattarsi ed altri ancora si trasferirono.

– Le famiglie – ci dice Donnaruma – non volevano che i loro figli fossero obbligati a prendere un autobus per andare a studiare in un istituto scolastico lontano da casa, avendone uno vicino. Ma la legge è legge. Va rispettata.

Dal passato al presente. Dalla storia alla quotidianità. Come vivono i discendenti degli immigrati italiani questa loro duplicità: l’essere americani e, nello stesso tempo, avere un lontano retaggio italiano? Lo chiediamo alla collega. Sorride e spiega:

– La generazione di mio nonno, che venne in America perché in Italia non aveva lavoro, non aveva da mangiare e non aveva futuro, una volta trovata una stabilità, difficilmente sentiva il desiderio di tornare in Italia. Le generazioni a seguire si sono sposate con persone di altre origini. Dopo due, tre e quattro generazioni le loro origini sono solo un lontano ricordo. Nelle loro vene scorre sempre meno sangue italiano

E così, afferma, il loro interesse per il Belpaese è andato affievolendosi. Ciononostante, ammette, vi sono ancora numerose associazioni regionali italo-americane che si sforzano di conservare le tradizioni. E’ il caso di quella abruzzese.

– Si rispettano e si celebrano tante ricorrenze – segnala -. Ad esempio, la comunità di Sulmona celebra la Madonna del Soccorso.

– Ma i giovani, hanno curiosità per le loro origini?

– Certo – afferma -, c’è chi poco a poco ripercorre il cammino dei propri nonni o bisnonni. Ma bisogna capire che i giovani, ormai terze ed anche quarte generazioni, sono nati e vissuti negli Stati Uniti; hanno studiato nelle scuole e nelle università americane. Si sono sposati con persone che non hanno nulla a che vedere con l’Italia… Il richiamo alle origini è sempre più debole.

La nuova immigrazione
E i nuovi immigranti? Cosa accade ai giovani italiani disoccupati che cercano nella ‘Merica uno sbocco alla loro professionalità, alle loro ambizioni?

– Gli Stati Uniti – spiega Donnaruma – ha leggi ben precise che regolano l’ingresso degli immigranti, degli stranieri. Se non sei in possesso della “Green Card” non puoi lavorare. Per farlo, per risiedere nel paese devi avere la documentazione in regola.

Ci dice, comunque, che un datore di lavoro “può aiutare ad ottenere il permesso di soggiorno e di lavoro  all’immigrato”.

– Se ho bisogno di un impiegato con determinate caratteristiche – sottolinea – e non riesco a reperirlo sul mercato perché nessuno soddisfa le mie esigenze, allora posso aiutare un immigrante ad ottenere la “Green Card”.

Una realtà complessa
E’ inevitabile, la conversazione non poteva non interessare anche l’ambito politico. La rielezione di Barak Obama, naturalmente, non ha reso tutti felici. C’è chi non condivide le politiche sociali del suo governo né approva le proposte per regolarizzare la situazione di migliaia e migliaia di immigrati. E manifesta preoccupazione, così come ci confida Donnaruma.

– Lasciami spiegare cosa è accaduto – ci dice la Direttrice del “Post-Gazzette” -; cosa ha reso possibile la sua rielezione. Il presidente Obama è stato votato da coloro che hanno tratto vantaggio dalle sue politiche sociali.

Con entusiasmo ci offre la sua visione, la sua versione dei fatti. E lo fa con estrema prudenza, senza fare riferimento né alle comunità afro-discendenti né a quelle latinoamericane.

– L’amministrazione del presidente Obama – ci dice – sta abituando la popolazione a non avere ambizioni, a non lavorare per migliorare le proprie condizioni di vita. Oggi  tanti si accontentano degli aiuti che ottengono per via delle politiche sociali. E non cercano altro.

– Ogni Paese – facciamo notare – ha ammortizzatori sociali; strumenti che permettono di aiutare i disoccupati e le famiglie bisognose… almeno fino a quando non trovano un lavoro o non superano il momento di emergenza e necessità…

– E’ vero – ammette per poi precisare:

– Ma qui, da noi, l’assistenza diventa permanente. Ed allora ci si abitua a vivere senza lavorare; a vivere con poco, senza ambizioni. Si cerca la via più comoda. Così il paese non può progredire. Si sta arrecando un grave danno all’economia… alle famiglie… al Paese.

Mauro Bafile

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