UE. Il parlamento diviso sul bilancio

BRUXELLES. – La macchina dell’Unione europea rischia di schiantarsi sul muro del bilancio 2014-2020. Era stato annunciato l’accordo tra Parlamento e Consiglio, necessario per varare il cosiddetto ‘Quadro finanziario pluriennale’ (Qfp). Ma i capigruppo di socialisti-democratici e liberal-democratici, Hannes Swoboda e Guy Verhofstadt, hanno denunciato che ‘’non c’é alcun accordo’’. E neppure il Ppe è compatto a favore: il cristiano-democratico tedesco Reimer Boege, del partito della Merkel nonché uno dei negoziatori parlamentari per i ‘popolari’, si è dimesso dall’incarico affermando che l’annuncio del raggiunto accordo è stato ‘’una manipolazione’’. Ed anche l’ex leghista Claudio Morganti, coordinatore in Commissione bilanci per il gruppo euroscettico Efd, denuncia come ‘’grave che Consiglio e Commissione abbiano lasciato intendere fosse stato raggiunto l’accordo’’. Una situazione che rende ‘’molto improbabile’’ che la prossima plenaria di Strasburgo (1-4 luglio), possa approvare il bilancio. Il passaggio è indispensabile. Ma se salta, la prossima possibilità slitta a settembre, quando mancheranno appena tre mesi per preparare le decine di testi legislativi necessari a cascata ed evitare l’esercizio provvisorio. In quel caso, altro che iniziative per la crescita e l’occupazione giovanile. ‘’Ci sarebbero solo i soldi per pagare gli stipendi’’ spiega una qualificata fonte europea. A far esplodere la rabbia di mezzo Parlamento è stato l’annuncio dato dal ministro degli esteri irlandese Eamon Gilmore, in rappresentanza della presidenza di turno del Consiglio, e dal ‘popolare’ francese Alain Lamassoure (Ump), presidente della Commissione Bilancio del Parlamento. Hanno affermato che l’accordo era stato ‘’finalizzato’’ e che ‘’erano state accolte le richieste del Parlamento’’. Ieri in Commissione è stato precisato che Gilmore e Lamassoure si sono presi la responsabilità personale di far capire alle rispettive istituzioni che si era arrivati al limite massimo. Ma il Parlamento è sul piede di guerra da quattro mesi e mezzo, ovvero da quando a febbraio – al termine di un vertice-maratona – i 27 leader, sulla spinta di Cameron e dei rigoristi, approvarono un progetto di ‘Qfp’ ridotto di oltre cento miliardi rispetto a quello attualmente in vigore: 960 miliardi il tetto massimo teorico di spese. I principali gruppi politici (Ppe, S&D, Alde e Verdi) annunciarono il veto, senza mettere in discussione le cifre ma intanto vincolando il negoziato al ripianamento del ‘buco’ da 11,2 miliardi già presente nel budget europeo del 2013, poi chiedendo l’introduzione di norme di ‘’flessibilità’’ (poter utilizzare i fondi senza rigidità tra capitoli di spesa e periodi di esercizio come invece avviene ora, col risultato che ogni anno i fondi non spesi vengono restituiti ai governi) affiancate dall’impegno ad una ‘’revisione di medio termine’’. Richieste teoricamente accolte nel presunto accordo. Ma nessuno si fida. Soprattutto, tutti denunciano come anti-democratico che l’intera prossima legislatura di Parlamento e Commissione (2014-2019) sia ingessata in un bilancio dettato dai governi paladini dell’austerità che ha scavato la fossa all’Europa.

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