Don Carletto l’erede di Mou al Real

MADRID – L’erede di José Mourinho ha la faccia di un ‘vincente discreto’. Il Real volta pagina e lo fa portando su una delle panchine più ambite al mondo Carlo Ancelotti: il sì, per questo matrimonio tanto desiderato dagli spagnoli, alla fine è arrivato.

Un accordo voluto fortemente dal presidente Florentino Peres che non vedeva l’ora di liberarsi del portoghese e di affidare la rinascita del suo Real al tecnico di Reggiolo. Tanto voluto da pagare anche la clausola rescissoria di 4,5 milioni ai francesi del Psg. Contratto di tre anni e oggi grande presentazione al Santiago Bernabeu.

Ancelotti è il secondo tecnico italiano a guidare i blancos: prima di lui Fabio Capello che conquistò due campionati nelle altrettante esperienze spagnole (1996 e 2006).

A Madrid, però, ‘Carletto’ arriva con un curriculum agonistico-tecnico che non sfigura certo con quello di Mourinho che arrivato al Real aveva promesso cielo-mare-monti ed è andato via con una Liga, una supercoppa di Lega e una coppa del Re, tra i fischi del Bernabeu e il sospiro di sollievo di quasi tutto lo spogliatoio.

Ancelotti – unico italiano a vincere campionati in tre nazioni diverse – porta con sé 7 trofei nazionali (3 italiani, 4 nel Chelsea e uno nel PSG) e 6 trofei internazionali (5 nel Milan, uno con la Juve); parimenti favolosa la sua carriera di giocatore. Ma quel che conta a Madrid è il suo carattere.

“El ganador discreto” lo definiscono qui. Una discrezione che, sommata alla sua bravura, lo ha fatto ammirare sempre, da Reggiolo a Parma, Torino, Milano, Roma, Londra, Parigi e, ne sono certi in Spagna, anche a Madrid, culla del calcio mondiale.

In un sondaggio on line il 58% ritiene che Ancelotti sia la scelta giusta per tornare a vincere. A lui si chiedono solo due cose: in casa, interrompere lo strapotere del Barca; fuori, sconfiggere la maledizione delle semifinali e conquistare la sospirata “decima”.

Cose non di poco conto, ma che Ancelotti potrebbe centrare nei tre anni di contratto sottoscritti. Il suo arrivo viene vissuto con il rispetto e la deferenza che si devono a un allenatore che non ama proclami o polemiche, ma che parla pacatamente ai suoi, riuscendo ad ottenere il meglio.

Un personaggio “discreto”, appunto, che sa il fatto suo. La stampa lo ricorda anche come “il responsabile di una delle maggiori umiliazioni dei blancos”: con un tiro da 25 metri nel 1986 aprì la “manita” che il Milan di Sacchi rifilò al Real Madrid nella semifinale di Coppa dei campioni.

Il tono è quello di chi spera che proprio colui che ha consentito al Milan di essere la squadra più titolata al mondo – come afferma il suo presidente, Silvio Berlusconi – a Madrid sia in grado di ripetere quelle gesta con le merengues e ribaltare la situazione. Quando il tira e molla sul nuovo tecnico era agli inizi, Xabi Alonso disse che al Real occorreva qualcuno capace di saper sentire la squadra e di saperle parlare. Praticamente un assist.

Un tifoso su twitter ha scritto: “Il problema del Real non sono i giocatori, è il club che uccide tutti con la sua enorme pressione”.
Ancelotti, con la sua saggezza romagnola mista a una sana sfrontatezza romana ha dimostrato di saper domare presidenti ostici come Berlusconi, Abramovich e lo sceicco Al Thani. Forse Perez lo ha ingaggiato anche per questo.

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